Duecento giovani querce pronte a scalare il cielo. «Anche se sapessi che domani il mondo andrà in pezzi, vorrei comunque piantare il mio albero di mele», scrisse con enorme energia Martin Luther King. Perché piantare un albero ha sempre il sapore di un atto di riparazione cosmogonica. Per Alejandro Jodorowsky può essere a tutti gli effetti un «atto psicomagico», il modo più bello e delicato per esprimere la profonda speranza di una palingenesi: che bruci l’Amazzonia o esploda una bomba, è sempre il momento giusto.
Con questa carica di speranza rigenerante, che supera l’«inverno dello spirito» (Yourcenar), proponiamo un piccolo videoreportage, a cura di Vittorio Palmieri, sulla riforestazione attuata dalla Lipu Benevento nell’area dell’Oasi Zone Umide Beneventane, area protetta di quasi 900 ettari che si sviluppa per circa 18 chilometri del corso del fiume Calore. Quasi 300 alberi, in totale, tra querce rosse, roverelle, lecci, cerri e vari tipi di arbusti. «Abbiamo pensato a questa operazione – spiega il delegato Lipu Marcello Stefanucci – perché le nostre aree collinari sono tipicamente popolate di querce. Tuttavia questi boschi, tipici del Sud Italia, sono in regressione: vengono tagliati per fare legna da ardere e spesso il loro posto viene occupato da una pianta invasiva proveniente dall’America, la pseudoacacia “Robinia”. Si tratta di una pianta importata nel Seicento e ben acclimatata (tanto da annoverare, tra i suoi esemplari, l’albero più antico di Parigi). Cresce facilmente e soppianta le querce che hanno crescita più lenta. Il nostro scopo è, dunque, quello di provare a ricreare un pezzo di ambiente autoctono lungo i terreni a valle e a monte della pista ciclabile, sulle colline che digradano verso il fiume». «Siamo imprigionati in un movimento virtuale e digitale. – chiosa il Alessio Masone, attivista e biolibrario – Dobbiamo iniziare a parlare di centratura, e la centratura inizia dall’albero».
«Da sempre l’albero – spiega Enrico Falbo, docente di filosofia – ha esercitato sugli uomini sensazioni di mistero e di sacro e il bosco è stato il primo luogo di preghiera. Dice Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia che “… non meno degli Dei, non meno dei simulacri d’oro e d’argento, si adoravano gli alberi maestosi delle foreste”». «Quante cose ancora non sappiamo – osserva Mario Rigoni Stern – e tante ne abbiamo perso progredendo. Con il popolo degli alberi i nostri antenati avevano un rapporto più diretto ma anche più conoscitivo e rispettoso in forza di religione e per sensibilità. Quando gli uomini vivevano dentro la natura, gli alberi erano un tramite di comunicazione della terra con il cielo e del cielo con la terra».