La “Petite Agorà”, coro di giovani artisti campani, punta sullo “Stabat Mater” del compositore gallese Karl Jenkins come forma di “meditazione in musica”. Un’opera potente che supera qualsiasi confine confessionalistico per assumere un valore di universale sonorità spirituale. Proponiamo un piccolo estratto dal concerto alla Chiesa di San Lorenzo nel bellissimo borgo di San Lorenzello, nel Sannio
Incentrato sulla sofferenza di Maria al tempo della Crocifissione, la versione dello Stabat Mater di Jenkins usa, a differenza della maggior parte degli adattamenti del testo, lingue diverse per ogni brano. La composizione è basata sull’omonima preghiera del XIII secolo attribuita a Jacopone da Todi. L’opera, recentemente proposta dal coro di artisti campani “Petite Agorà” nel bellissimo borgo di San Lorenzello nel Sannio nel pomeriggio della Domenica delle Palme, include un arrangiamento corale dell’Ave Verum, i brani “And The Mother Did Weep” (che presenta un unico verso cantato contemporaneamente in inglese, latino, greco, aramaico ed ebraico) e “Lament” in inglese, una poesia di Carol Barratt, moglie di Jenkins. Prevede inoltre un vocalizzo semi-improvvisato e cantato in arabo antico: “Incantation”. Abbiamo posto alcune domande alla Maestra Maria Antonucci.
La scelta dello “Stabat Mater” nella versione di Karl Jenkins, in più lingue, è emblematica. Credi che la musica riesca ancora a unire in un universo di senso grandi flussi di persone o che arranchi nel generale processo di depotenziamento delle forme e dell’esperienza estetica nell’ambito del bombardamento mediale? Temi possa essere finito anche per la musica il tempo delle “Grandi Narrazioni”?
M. Io sono fermamente convinta che la musica ancora oggi abbia, anche più di altre forme di comunicazione, un compito fondamentale nella formazione dell’uomo. La musica riesce ad investire in modo pluri-sensoriale l’umano nella sua totalità di corpo e mente e questo fa sì che si crei una condivisione che potremmo definire connessione tra ascoltatore ed ascoltatore oltre che tra pubblico e artista. Non credo che la musica arranchi, anche se sembra essere penalizzata dalla frammentazione imposta dal tempo storico che viviamo, credo invece possegga una forza unitaria tale da consentitrle di attraversare i secoli e restare sempre di primaria importanza nelle esistenze degli esseri umani e di accompagnarne le rivoluzioni.
Da questo punto di vista, hai notato uno spostamento del baricentro della committenza dalle grandi istituzioni alle piccole comunità? Ti andrebbe di soffermarti, ad esempio, sull’esperienza di domenica scorsa nel piccolo e suggestivo borgo di San Lorenzello, nel Sannio? Cosa credi abbia “funzionato” in questo intreccio di musica, relazioni e radicamento?
M. E’ un dato di fatto che l’accesso alle piccole comunità sia più immediato e meno filtrato, oltre che meno complicato rispetto alla possibilità di entrare in contatto con le grandi istituzioni. Detto questo, le nostre esperienze con le piccole comunità ci hanno portato ad osservare un pubblico più attento ed emotivamente partecipe rispetto a quello delle occasioni formali organizzate da enti ed istituzioni. A confermare quanto sto dicendo aggiungo che, seppur siamo in un periodo storico particolarmente drammatico, la partecipazione del pubblico di San Lorenzello è stata enormemente sentita ed emotivamente intensa.
Hai parlato di una forma di meditazione in musica, ti andrebbe di spiegarci meglio il concetto?
M. Quando parlo di meditazione, in musica, la intendo come trasporto e fuga da un piano strettamente terreno e umano a uno più spirituale ed elevato, tanto da riuscire a fornirci le chiavi di lettura necessarie a comprendere le problematiche del mondo in cui viviamo e del modo in cui stiamo vivendo.
A quali altre “meditazioni” sonore avete lavorato o state lavorando? C’è un particolare filo conduttore nelle opere che proponete?
M. Più che un filo conduttore tra le opere proposte, posso dire di aver lavorato spesso a quelle che definisco essere altre forme di meditazione, come ad esempio riadattare musica medievale alle varie vocalità dei miei allievi. Inoltre quello che amo fare, che più mi interessa, è scoprire nuove sonorità, approfondire i motivi di alcune scritture musicali, come ad esempio le dissonanze proposte nell’opera di cui sopra di Jenkins o la funzione dell’utilizzo di diverse lingue, cosa che rende unica la sua opera. Inoltre sono costantemente alla ricerca di nuovi studi e tecniche che possano migliorarmi dal punto di vista didattico essendomi, negli ultimi anni, dedicata totalmente all’insegnamento.
a cura di apl
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INFO
L’ensemble vocale “Petite Agorà”, diretto dal M° Maria Antonucci, è composto da Salvatore Angelino (contraltista), Angelo Campochiaro (tenore), Rosaria Giuliano (soprano), Giusy Palmiero (soprano), con la partecipazione di Rossella Marraffino (soprano). Pianoforte M° Silvio Antropoli; voce narrante Gennaro De Lena. Il M° Maria Antonucci, avviata alla formazione musicale fin da bambina, ha studiato canto lirico presso il Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli. Fondatrice e direttrice della corale “Polifonica Agorà” che vanta 50 elementi, ha partecipato a varie edizioni concertistiche di rilievo nazionale e internazionale in qualità di solista, in formazione da camera e orchestrale. Numerose le collaborazioni come corista e come voce solista. Tra le opere interpretate: Tosca, Malavita, Traviata, Nabucco, Amico Fritz, e diversi ruoli nell’operetta.
Contatti: https://www.facebook.com/petiteagora