L’antico centro storico non deve diventare un ampolloso centro cerimonie. Urge una considerazione in profondità dell’abbandono quale valore storico ed estetico da salvaguardare
Sarà per il ciclo delle generazioni (e delle amministrazioni), ma il Comune di Apice non sembra avere un’idea costante su come tutelare quella parte del paese nota come Apice Vecchia. Abbandonata per il rischio sismico e l’impossibilità di espansione, l’area originaria del centro abitato è oggi un tesoro comune di chi l’ha vissuta, percorsa o fotografata, accarezzandone l’abbandono. Un simbolo di identità e bellezza non solo per gli abitanti di Apice ma anche per quelli di molti paesi vicini, un’impronta della storia la cui fama travalica i confini amministrativi. Una proprietà del Comune con vincoli della Soprintendenza.
Nel 2005 Apice Vecchia era, stando al sito del Comune, la “Pompei del ’900”, un “borgo sospeso nel tempo” paradossalmente “salvato” dal terremoto. Leggiamo, dunque: come l’ha salvato il terremoto? «L’ha salvato fermandovi il tempo… spopolandolo. Impedendo che alluminio, plexiglas, insegne luminose, restauri arditi e prove di modernità urbana ne violassero l’armonioso aspetto di un paese del meridione d’Italia fermo agli inizi degli anni Sessanta». Tutto corretto, quasi ovvio, a parte il riferimento a Pompei. Il paragone con la città vesuviana, già azzardato sul piano storico, appare insidioso anche in riferimento alle pratiche di valorizzazione messe in atto. Pompei offre infatti alcuni dei peggiori esempi di gestione di un bene culturale della storia. Nel 2010, quando le domus crollavano allegramente, a Pompei si pensava all’ologramma di Giulio Polibio, costosissima sottospecie di cartone animato che doveva accogliere i turisti sognando Walt Disney, oppure a organizzare improbabili restauri show (in cui i tecnici dovevano eseguire un lavoro delicato come il restauro davanti agli spettatori), o ancora a ricostruire il Teatro Grande trasformandolo, come denunciato da esperti del settore, in un «teatro “romano” sfacciatamente falso dal costo di ben 5 milioni di euro», una fasulla “arena da villaggio turistico” in caratteristico tufo “color cacca di bimbo”, in grado di offendere al contempo sia le istanze storiche che quelle estetiche della compianta Teoria del Restauro brandiana.
Anche a proposito della “Pompei del ’900”, Apice Vecchia, c’è chi avanza dubbi sulla scaletta delle priorità. «Il centro storico è circondato da frane, ma si pensa a ristrutturare investendo soldi pubblici anziché a mettere in sicurezza il paese», ha dichiarato il geologo Roberto Pellino. Per di più i soldi pubblici investiti rischiano di essere vanificati da restauri improvvisati forse legati alle esigenze delle attività commerciali aperte nelle strutture messe in sicurezza e affidate in concessione dal Comune. A qualche tempo dalla chiusura ufficiale dei lavori di restauro, infatti, sono spuntate delle cornici bianche posticce intorno ad alcune finestre del Castello dell’Ettore, monumento nazionale sottoposto a vincolo della Soprintendenza. In occasione dell’inaugurazione dicembrina del Castello, qualcuno ha addirittura pensato di imbiancare l’albero all’ingresso nord-est del centro storico, così da rendere più esplicita la nuova vita shabby chic della fortezza. Allontanandosi dal monumento la situazione non migliora, imbattendosi in vicoli dalle tinte sgargianti giustapposte e in facciate ritinteggiate a metà, dalle cromie che rimandano a un vago stile gelateria.
Ma dov’è finita la “Pompei del ’900”? Quella salvata da restauri arditi, insegne luminose (ci sono anche quelle) e prove di modernità urbana? Come mai qualche anno fa il Comune mostrava considerazione per il valore aggiunto offerto al paese dall’abbandono e oggi freme per ripopolarlo anche in maniera non pertinente con la vocazione del luogo? Possibile che la “sindrome di Pompei Viva” (quella per cui “la storia è più bella con un po’ di cartoni, sorrisi e canzoni”) abbia colpito anche gli amministratori della “Pompei del Novecento”? Una soluzione praticabile per la tutela e la valorizzazione di Apice Vecchia non potrà prescindere da una considerazione in profondità dell’abbandono quale valore storico ed estetico da salvaguardare e magari mettere “in mostra”.
Alessandro Paolo Lombardo
13.01.2017