Microcosmi dell’effimero, i castelli di sabbia c’insegnano la caducità della bellezza e la bellezza del mutamento. Eppure persino il mare, che ruba forme alla spiaggia per restituirle diverse, conserva in sospensione ispirazioni e visioni disciolte. Come quelle dell’attivista Pierluigi Santillo, infaticabile costruttore di architetture sabbiose
Giocare con la sabbia, sul bagnasciuga, con paletta e secchiello è uno dei giochi da spiaggia che tutti almeno una volta nella vita abbiamo fatto da bambini. Una sorta di istinto primordiale ci spinge a smuovere la sabbia con le mani, creando cumuli e montagnole di sabbia che inesorabilmente vengono demolite dalla risacca. Crescendo le architetture dell’effimero diventando più complesse: nascono torrette e piccoli castelli, fossati scavati con la paletta che la prima onda pensa a riempire d’acqua, un piccolo traforo per con tanto di ponte elevatore fatto di catenelle e stecche dei ghiaccioli: impariamo che possiamo dare forma al caos.
Plasmando forme da un pugno di sabbia impariamo anche che la bellezza come tutte le cose è soggetta al mutamento. Impariamo la caducità, possiamo brillare per un momento prima che l’onda ci renda un pugno di sabbia cullato dal mare. E così, a distanza di anni, ancora colpiscono i microcosmi di sabbia, effimeri e poetici, di Pierluigi Santillo, attivista ecosolidale dalla mentalità poliedrica spesosi tutta la vita per la difesa del territorio. Pierluigi era in grado di creare con della semplice sabbia piccoli capolavori che ancora oggi testimoniano la sua “visione”.
Come racconta la psicologa Carmela Longo, sua compagna, anche la costruzione di castelli di sabbia contempla parole chiave come ispirazione e visione. «Pierluigi – racconta – non stava tanto a pensare cosa fare di quella sabbia, partiva e basta. Forse un’immagine mentale, una spinta, un ricordo… chissà… Iniziava con grande determinazione e sembrava avesse già ben chiaro il percorso, i suoi gesti erano precisi, veloci, avevano un ritmo deciso. Era concentrato e attento, valutava la sabbia, l’umidità. Aveva visioni di borghi, fortezze, castelli con il ponte levatoio e il fossato intorno. Aveva ispirazioni di fede, con chiese costruite sul mare, statue, Madonne sulla sabbia. Aveva bellezza negli occhi, forse… il sapore del ritorno a casa… con il possente faro sulla sabbia…che illumina e conforta nelle tempeste».
Vittorio Palmieri