“Processo al consumismo”: il vero fantasma è lo spettatore

consumismo natale

Dickens? No, Nichel. Nello spettacolo “Un canto di Natale – processo al consumismo”, lo spettatore indossa i visori e guarda, attraverso una realtà aumentata e distopica, l’avvento dei classici tre fantasmi. Che sono tre punti del processo di consumo di cose, di senso e del pensiero in cui siamo tutti imputati: i fantasmi del consumo siamo noi stessi, consumati dagli algoritmi e dalla mercificazione dell’esistenza. Un’imperdibile rilettura teatrale di Dickens del collettivo artistico “Progetto Nichel” in collaborazione con Casa del contemporaneo e Media Partner di Sebastiano Deva. Ne parliamo con il regista Pino Carbone e l’attrice Anna Carla Broegg

Il vostro “Canto di Natale” è un processo al consumismo, ovvero al “bisogno di consumare, di distruggere, di ridurre al nulla mediante l’uso”. Ma un certo tipo di teatro mondano, non è anch’esso prettamente “di consumo”? Cos’è il consumismo a teatro e qual è, invece, un teatro non consumistico?

«”Un Canto di Natale” di Dickens lo abbiamo guardato, esplorato, per utilizzarne la struttura. Struttura che ci consentiva di utilizzarlo come processo perché di fatto Dickens scrive di un processo a Scrooge, attraverso tre fasi che sono quelle del passato, del presente e del futuro. Il punto per noi era individuare Scrooge e lo abbiamo individuato in noi stessi, nel pubblico, nella società tutta, quindi è la società del consumo ad essere sotto processo. La struttura di “Un Canto di Natale” ci ha consentito di lavorare sulle tra fasi del processo: il fantasma del natale passato diventa la fase preliminare, il fantasma del natale presente la fase dibattimentale e il fantasma del natale  futuro la sentenza. Tutto questo avviene il giorno di Natale, in cui il consumismo è al massimo della sua celebrazione. Consumismo che non ha confini, non ha un settore, un’area dedicata. Il consumismo è una pratica che diventa sistema e viceversa, quindi ogni settore esercita e subisce il consumo, quindi anche il settore dell’arte, del teatro, della cultura. Ora il problema è capire qual è un arte non consumista, probabilmente un’arte che non si pone come intrattenimento, come merce, ma che si pone come funzione.»

Scrivete che “lo spettatore indosserà i visori e sarà proiettato in una realtà aumentata e distopica”. Non è già quella che stiamo vivendo un’iperrealtà dai tratti distopici? Cosa c’è di più nello spettacolo? Il fantasma di quale futuro conosceremo?

Pino Carbone: «Non so quanto la realtà che stiamo vivendo in questo momento sia una realtà distopica. Credo sia un momento di grande confusione perché qualcosa sta avvenendo, qualcosa sta cambiando, velocemente, e non stiamo avendo il tempo di percepirla come realtà e percepirne realmente le conseguenze. Nel nostro lavoro non c’è qualcosa in più, c’è qualcosa di sottratto alla realtà contemporanea e trasformato in discorso estetico, contenutistico, trasformato in discorso artistico. Non c’è nella nostra visione di un “Un Canto di Natale” un discorso temporale, non guardiamo al passato e al futuro in senso temporale, ma come qualcosa che dà inizio e porta a conclusione un processo, sia in termini legislativi che in termini di percorso. Il futuro che si vede nel nostro lavoro è un cerchio che si stringe partendo da una questione apparentemente più ampia che è il contesto in cui viviamo, l’ambiente, il mondo, il pianeta, nel passato, passando per il presente che per noi è la struttura della società; in particolar modo ci concentriamo sull’organizzazione del lavoro in quanto lente di ingrandimento sulla società e sui rapporti, per poi finire nel futuro dove il cerchio si stringe sull’individuo, quindi il consumo e il consumismo che arrivano fino al singolo individuo.»

Anna Carla Broegg: «Non è distopica perché è il frutto incosciente di quello che stiamo costruendo, accumulando, e di quello che stiamo consumando. A noi appare distopica perché non ne abbiamo consapevolezza. Il nostro spettacolo non vuole dare risposte, soluzioni o ambire a proiettare una risposta futura, ma vuole trasformare delle cose che già sono attualmente davanti ai nostri occhi in un’estetica, in una trasformazione artistica, in una presa di consapevolezza di quello che sta accadendo, ovvero del consumo ambientale, del consumo della società e del consumo dell’individuo. Ma è semplicemente una lettura di quello che già accade; il fatto che noi reputiamo una realtà distopica quella che stiamo vivendo è solo frutto di una nostra incoscienza rispetto a quello che creiamo, che consumiamo e che distruggiamo.»

A proposito di distopie… quanto c’entra la pandemia nello spettacolo? Troveremo tra gli imputati anche le ultime frontiere del consumismo digitale, dilatatesi anche a botta di lockdown?

Pino Carbone: «La pandemia c’entra perché è stata da un punto di vista artistico un’occasione per osservare il mondo, la società, gli individui. E di farlo attraverso una lente di ingrandimento in una condizione anomala, quindi osservare le reazioni del mondo, della società e degli individui. Questo progetto nasceva prima come volontà, ma è stato ispirato durante la pandemia, pandemia in quanto fenomeno sociale, non sanitario. La nostra fase di lavoro a distanza durante il lock-down ci ha consentito di approfondire la materia di guardarla da una prospettiva che non dico stavamo ignorando ma sottovalutando, cioè di quanto la società si esprime sui social, su internet, di quanto riesce a esprimersi a distanza e di quanto riesce a esprimersi in una sintesi, con un video, un’espressione, una frase, un’opinione. Quindi ha un rapporto molto stretto con la pandemia perché ha un rapporto molto stretto col contemporaneo. E questo è il nostro contemporaneo. Troveremo nel processo anche il consumo del pensiero, dilatatosi attraverso il consumismo digitale, dilatazione aumentata sicuramente durante il lock-down perché il consumo digitale è aumentato esponenzialmente.»

Anna Carla Broegg: «Sono due le parole che utilizziamo spesso per sintetizzare questo lavoro, questo progetto: una è indagine, indagine sulla società contemporanea, l’altra è processo, per le motivazioni già dette.»

Una libera riflessione sulle parole “Nulla” e “Natale”.

Pino Carbone:«Nulla e Natale lette insieme come parole sembrano quasi due sinonimi o due contrari. Il nulla non è l’assenza, non è il vuoto, il nulla è il nulla. E’ una parola che esaurisce ogni discorso nel momento in cui la pronunci o la pensi. Il Natale è un recipiente pieno di nulla che dà la sensazione di un pieno, quindi è un niente che però somiglia a un troppo pieno.»

Anna Carla Broegg: «Non si può parlare di consumo senza parlare dell’accumulo, e non si può parlare di consumo senza parlare allo stesso tempo del dimenticatoio, quindi sia nulla che Natale sono due parole molto legate e imprescindibili rispetto al consumo stesso.»

apl
thanks to Diana Cusani

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“Un canto di natale.
Processo al consumismo”
da Charles Dickens

Spazio scenico e regia Pino Carbone
Film art director Sebastiano Deva
con Anna Carla Broegg, Cesare D’Arco, Alfonso D’Auria, Antonio Maiuri, Rita Russo, Silvia Scarpa
drammaturgia Anna Carla Broegg, Pino Carbone
musiche Antonio Maiuri
costumi Rita Russo

di Progetto Nichel
Casa del Contemporaneo
Media Partner : virtual film Sebastianodeva@Apptripper