«Un mostro, un essere della peggior specie e dalle peggiori intenzioni: prodigo a soddisfare dei bisogni che ormai reputa essenziali, ma che, in realtà, sono solo frutto della manipolazione capitalistica, interessata ad alimentare la macchina bestiale della società dei consumi»: è l’uomo medio. Ascanio Celestini racconta Pier Paolo Pasolini: «ho cominciato a leggere i suoi libri e a vedere i suoi film perché sapeva raccogliere e raccontare la voce degli “ultimi”, di quelli che non avevano voce e – che ancora oggi – non riescono ad averla»
Pier Paolo Pasolini ha avuto la capacità di raccogliere e saper raccontare la voce degli “ultimi” di quelli che non avevano voce e – che ancora oggi – non riescono ad averla. Questo colpisce Ascanio Celestini che racconta «ho cominciato a leggere i suoi libri e a vedere i suoi film perché mi sembrava uno che parlava di noi, che parlava dei posti dove vivevo io: le borgate alla periferia di Roma. Mi è sembrato interessante per me, ragazzo, leggere ciò che aveva scritto e capire come avesse raccontato questi posti e ciò che vi accadeva».
Nel corso della premiazione del festival “Corto e a capo – Mario Puzo Film Festival – VIII edizione Il festival del cinema nelle aree interne al confine fra l’Irpinia e il Sannio“, in occasione dei 100 anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini, è stato invitato un ospite di eccellenza per ricordarlo: Ascanio Celestini. Nella stessa sera è stato proposto anche un corto appositamente realizzato sul Processo Pasolini a Benevento, realizzato da Umberto Rinaldi
Ascanio Celestini racconta Pier Paolo Pasolini: «se salviamo gli ultimi salviamo tutti, se non riusciamo a salvare gli ultimi non salviamo nessuno»
Non riusciamo ad avvicinarci a Pier Paolo Pasolini così come facciamo con ogni altro autore, cercando di comprendere la sua vita per “decifrarne le opere: «con Pasolini – spiega Celestini – abbiamo un po’ di pudore a farlo. Pensiamo che scavando nel suo quotidiano possa venir fuori qualcosa di sporco. Invece dobbiamo indagare quella che era la sua vita giorno per giorno: un po’ quello che ho fatto io».
È fondamentale comprendere il pensiero di Pasolini anche perché, mettendo in ordine cronologico le sue opere otteniamo, «il disegno completo dell’Italia dal ventennio fascista fino alla metà degli anni ’70: quello che ho cercato di fare – spiega l’attore – è mettere in correlazione la vita e le opere di Pasolini con quello che accadeva in quegli anni».
La forza di Pasolini è quella di essere riuscito a descrivere in maniera estremamente lucida ciò che accadeva in quegli anni e ciò che accade anche oggi. Pasolini «la chiamava omologazione: una stratificazione di un retaggio borghese. Oggi siamo tutti borghesi, perciò abbiamo smesso di parlare della borghesia. L’intellettuale è sempre, evidentemente borghese (diceva Pasolini) perché ha imparato a leggere e a scrivere, insomma è andato a scuola e la scuola è borghese! Ma il borghese intellettuale, o il borghese qualunque, ha una grande possibilità: può tradire la sua classe e sposare la lotta delle classi subalterne».
Ma chi sono le classi subalterne oggi? Un tempo erano gli operai, gli agricoltori: tutte quelle classi sociali che vivevano nelle borgate di cui Pasolini raccoglieva la voce, quelle che idealmente erano antagoniste della borghesia padrona e capitalistica. Oggi, le classi subalterne «non sono quelle che non riescono ad arrivare alla fine del mese: sono quelle che non l’iniziano neppure il mese. In qualche modo, in quegli anni, Pasolini ci ricordava una cosa ovvia: se salviamo gli ultimi salviamo tutti, se non riusciamo a salvare gli ultimi non salviamo nessuno».
La lezione di Pasolini: imparare a far propria la voce dell’altro
Il grande potere, la grande occasione della borghesia è di poter scegliere la causa delle classi subalterne. Questo è possibile arricchendo la nostra voce con la voce dell’altro. Pasolini «lavora contro l’identità. Prende sempre la lingua dell’altro: questo è il nucleo del suo lavoro. La disponibilità di abbandonare la nostra identità, la nostra poltrona: dobbiamo entrare nella vita dell’altro». Gli ultimi, quelli che vivono fuori dai palazzi del potere, non possono ambire a diventare storia, possono solo diventare cronaca, perché: «la storia è la storia della borghesia. Nella storia entrano quelli che già nella storia ci vivono: una prostituta non fa storia se muore, non fa storia se viene ferita, al massimo fa cronaca, ma non entrerà mai nella storia».
Gli uomini e le donne destinati a vivere fuori dalla storia possono dichiararsi già sconfitti, condannati all’impossibilità di avere delle ambizioni che superino la loro condizione di classe; perché, se è vero che la borghesia non esiste più nella sua forma originaria, corrotta dall’omologazione figlia del capitalismo, gli ultimi (le classi subalterne di cui parlava Pasolini) esistono ancora in tutta la loro disperazione. Tale status quo, che sembra storicamente immutabile, può, invece, essere superato, subire un’evoluzione, che potrà avvenire solo quando la borghesia sarà disposta a tradire la sua stessa classe, una rivoluzione che Celestini definisce “difficile, ma fattibile”.
Dobbiamo ricostruire la nostra strada: il mondo non è un prodotto
Pasolini definisce l’uomo medio attraverso Orson Welles, che lo disegna come un mostro, un essere della peggior specie e dalle peggiori intenzioni: prodigo a soddisfare dei bisogni che ormai reputa essenziali, ma che, in realtà, sono solo frutto della manipolazione capitalistica, interessata ad alimentare la macchina bestiale della società dei consumi. L’uomo medio, quindi, veste i panni di un’orrenda figura umana, deformata nel pensiero, che ha preferito cedere la propria anima e la propria mente, in cambio di giocattoli luccicanti, inconsistenti distrazioni che alimentano un sistema di povertà spirituale e umana, incrementando anche un mortificante disagio sociale.
«Oggi l’uomo medio è tra noi e facciamo fatica a riconoscercelo. L’azione politica necessaria è analizzare questo fenomeno: capire quanto noi stessi stiamo diventando “l’uomo medio”, quanto ci stiamo abituando ad esserlo, quanto ci affascina poter comperare i mobili all’Ikea, le scarpe da Scarpe&Scarpe, i divani da Poltronesofà. Il mondo è, ormai, diventato come un prodotto a disposizione che noi possiamo acquistare, ma dobbiamo ricordarci che non è così, che l’umanità non è un fast-food. Abbiamo il dovere morale di ritrovare la nostra direzione e cominciare a ricostruire la strada per tornare a casa».
Per ritrovarci, per riappropriarci della nostra umanità, è fondamentale ritornare ad un sentire comune, ad una condivisione di intenti, rinunciando ad un superfluo che non ci definisce più.
Vittorio Palmieri