I piccoli animali del bosco potranno tornare a dormire sonni tranquilli. Mai più “bestie da pelliccia” sacrificate alla moda. Volpi, visoni e cincillà potranno ritornare ad abitare boschi e foreste senza dover temere per la propria pelle. A partire dal primo gennaio, l’Italia vieta l’allevamento, la riproduzione in cattività, la cattura e l’uccisione di visoni, volpi, cani procioni, cincillà e animali di qualsiasi specie per ricavarne pelliccia. Entro giugno 2022 saranno chiusi gli ultimi allevamenti.
L’Italia diviene «un paese più civile – dichiara Simone Pavesi di Lav a Elisabetta Scuri di Lifegate.it – mettendo la parola fine a un’industria crudele che non ha più motivo di esistere.» Industria di un mercato insensatamente crudele che miete un numero non ben definito di vittime ogni anno per la sola vanità di sfoggiare una pelliccia per i sentieri più frivoli della mondanità. Non si conoscono le stime precise degli animali, tra quelli allevati in cattività e quelli catturati allo stato brado, che vengono sterminati annualmente. Se ne può avere un’idea considerando che per produrre un cappotto di pelliccia ci vogliono dai 150 ai 300 cincillà, tra i 200 e i 250 scoiattoli, 50 o 60 visoni o tra le 15 e le 60 volpi.
«Dietro ogni bella pelliccia – scrive Mary Tyler Moore – si cela una storia crudele e sanguinosa.» Se in Italia questa storia sanguinosa sta vedendo i suoi ultimi giorni, nel mondo, Europa compresa, ci sono ancora allevamenti intensivi dove questi animali vengono allevati in condizioni atroci. Per rendere il processo di produzione meno costoso, gli animali vengono rinchiusi per tutta la vita in piccole gabbie nelle quali possono muoversi solo limitatamente e dove non hanno mai la possibilità di compiere altri movimenti, come correre o nuotare. Ciò è particolarmente stressante per animali semi acquatici come i visoni, privati della possibilità di avere accesso a fonti di acqua più abbondanti di un misero abbeveratoio.
Vivere in spazi così ristretti è fonte di grande stress e angoscia per questi animali, che perciò vengono spinti a compiere atti di autolesionismo e cannibalismo. Possono verificarsi inoltre casi di infanticidio, nella maggior parte dei quali la madre mangia il proprio piccolo. L’essere rinchiusi e la mancanza di movimento li rende frustrati e spesso mostrano comportamenti stereotipati, come ad esempio muoversi allo stesso modo ripetutamente e senza motivo. Una brutalità che possiamo solo apparentemente archiviare, perché continua negli allevamenti intensivi (a scapito della salute animale e di quella umana) negli angosciosi lager degli allevamenti intensivi per scopi alimentari. Senza dimenticare che l’orrore del business delle pellicce continuerà ad approdare nel nostro mercato da fuori, rendendoci ugualmente complici di sistemi produttivi iniqui e vergognosi che lucrano sulla vita tout court. Celando, dietro la produzione dei più comuni capi d’abbigliamento, altre forme di brutalità, sfruttamento minorile compreso.
Vittorio Palmieri