Gli alunni di Portoferraio (Isola d’Elba) e la loro esperienza nella porosità dei Quartieri Spagnoli il giorno dello scudetto del Napoli.
Non dovevamo essere a Largo Maradona il 4 maggio 2023. Il terzo giorno del viaggio d’istruzione doveva concludersi, per estreme attrazioni campanilistiche, ad Apice Vecchia, nel Sannio, in uno dei circa novanta borghi fantasma italiani, definito da qualcuno “La Pompei del ‘900”, da altri ancora uno dei paesi semi-abbandonati post-terremoto meglio conservati della Campania.
La vera Pompei, invece, fatta di visite a ritmo di catena di montaggio, dove ad accompagnarti ci sono giovani laureandi e stagisti, era stata vista il primo giorno. Gli eventi hanno voluto che fossimo proprio lì: il teatro San Carlo chiuso il tre maggio; quindi, si sposta il viaggio a Napoli il quattro, e Cappella San Severo e il suo Cristo Velato praticamente impossibili da visitare nel pomeriggio, a causa delle innumerevoli richieste e prenotazioni pervenute da mesi, come in una città d’arte europea che si rispetti.
Cosa fare allora? Un breve confronto con la preside, poi la decisione: far respirare ai ragazzi di Portoferraio la città.
«Portateci nel cuore di Napoli, nei Quartieri Spagnoli, a Largo Maradona», si dice alle guida giorni prima, che inteso il background originario e lo slang linguistico del richiedente, risponde: «Professò, c’amm capit, tranquillo».
Nei giorni precedenti si sperava in una vittoria anticipata dello scudetto del Napoli, in particolare il 30 aprile. La mattina a tifare per l’Inter e il pomeriggio ad aspettare di vedere una Salernitana travolta da pubblico e giocatori, perché diverse erano le preoccupazioni, come il blocco traffico e soprattutto gli eccessi dei festeggiamenti, questi ultimi noti da millenni. Nei primi anni del ‘900, un viandante e intellettuale tedesco, Walter Benjamin, associò a Napoli una caratteristica precisa: la porosità, dove irresistibilmente il giorno di festa pervade ogni giorno feriale. Figuriamoci vincere il campionato di calcio.
Così, il giorno del terzo scudetto a Largo Maradona diventa una esperienza in cui si coglie qualcosa di sacrale, si ha l’idea di trovarsi in un tempio moderno destinato a un mito moderno che da trenta anni spinge l’emotività e l’orgoglio collettivo di Napoli, come un santo patrono, segnando vicoli e quartieri con visioni iconografiche, murales e brani musicali.
I Quartieri Spagnoli sono come un flusso arterioso che ribolle, che trascina come la corrente. Qui, rimbalza ciò che distingue Napoli da tante altre città, come raccontava il forestiero tedesco agli inizi del secolo: le azioni e i comportamenti privati sono inondati da flussi di vita comunitaria. L’esistere, che per l’europeo del nord rappresenta la più privata delle faccende, è qui, come nel kraal degli ottentotti, una questione collettiva.
I confini tra privato e pubblico sono sottili e una persona seduta davanti alla porta di un basso è il ponte tra le due dimensioni. Comunicare, dunque, è la quintessenza, perché comunicare significa esistere e vivere. Noi non dovevamo essere sotto il murales di Maradona, realizzato nel 1990 da un giovane artista del rione, Mario Filardi, grazie a una colletta organizzata dai tifosi del quartiere e inaugurato con una grande festa e gli immancabili fuochi d’artificio (fonte Napoli da Vivere). Noi non dovevamo essere a Napoli il giorno dello scudetto, eppure, a distanza di tempo, non sappiamo chi o cosa ringraziare per esserci capitati, per l’energia antropica e la gioia avvolgente delle persone incontrate o semplicemente “po’ mazz c’amm tenut”.
Michele Intorcia