Si intitola “L’agente della Terra di Mezzo” il diario di viaggio edito da “Bookabook” firmato da Giuseppe Tecce. «Il senso del libro è che bisogna amare il proprio territorio e scoprirlo in ogni suo anfratto: è anche un elogio alla lentezza, un inno al buon vivere», spiega Tecce, presidente della cooperativa sociale “Il Faro” di Benevento
Tra flusso di coscienza e realtà, sono tanti gli spunti, le tradizioni e i personaggi che emergono dal libro, come il nume tutelare dei camminatori sanniti: Zio Bacco, al secolo Roberto Pellino, geologo e animatore dell’associazione “Lerka Minerka”. Lo scopo, spiega Tecce, è «riscoprire le proprie radici per riscoprire se stessi, perché un essere umano che conosce se stesso è pronto ad interagire con gli altri, generando buone prassi e pace». Proponiamo di seguito alcuni estratti dal capitolo “La Terra di Mezzo”, che per l’autore è l’entroterra campano, il paesaggio di Sannio e Irpinia.
«Cos’è la terra di mezzo se non l’essenza stessa delle cose, la terra dell’osso di Rossi Doria che da osso morto diventa verde di vita e azzurro di libertà. La terra di mezzo è la terra di mezzo a tutto, tra i monti lucani e quelli dell’alto casertano, lontana dai mari ma al centro tra i due mari. (…) Cos’è la terra di mezzo se non il luogo dei nostri padri, il luogo dove affondare le nostre radici per poterci ergere quali sentinelle verticali di un mondo che muta più rapidamente di quanto possiamo immaginare, ma che ci riporta sempre a fare i conti con quello che veramente siamo: figli della natura, generati da madre terra con la quale dobbiamo confrontarci.
C’è stato un tempo in cui gli esseri umani si sono convinti di poter vivere in grandiosi agglomerati urbani, utilizzando servizi facilmente accessibili, e tagliando ogni legame con la natura, cioè con ciò che in sostanza siamo. Arriverà o forse è arrivato già il giorno in cui questo legame dovrà essere necessariamente ricostruito, non come vezzo, ma come essenza stessa della vita.
La mia terra di mezzo è un vero ritorno alle origini, ad un tempo ancestrale in cui non esistevano confini, se non quelli dettati da fattori orogeografici e fluviali. (…) Ci sono due mestieri che puoi trovare ovunque in queste terre, il pastore , in epoca più moderna l’allevatore, ed il menestraio. Il menestraio è una figura un po’ più misteriosa che a tratti emerge dalle nebbie dei tempi, in bilico tra figura mitologica e reale. I menestrai non erano dei veri e propri contadini intesi in senso moderno, quanto piuttosto delle persone dedite alla cura esclusiva degli orti. Ci sono dei luoghi, dove, ancora oggi, i menestrai vengono tenuti in grandissima considerazione, in quanto portatori di saperi antichi, legati al passare delle stagioni e alla cura lenta del tempo».
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