Dal seguitissimo gruppo facebook uno spunto di riflessione tragicomico a chiusura del Natale 2020
Ci eravamo stancati da un pezzo di vedere manicaretti sui social a ogni ora del giorno e della notte, chef stellati e cucinieri disperati stuzzicare fino alla nausea un senso di appetito diffuso e costante, che prima o poi ci avrebbe tolto la fame. Ma gli stessi social che tanta parte hanno avuto, assieme alla tv, nel promuovere la feticizzazione del cibo hanno prodotto una scomposta e goliardica reazione: è il gruppo facebook “cucinaremale”, animato da quasi 400mila persone. E’ qui che l’incompetenza ai fornelli o l’imprevisto disperante assurgono alle vette dell’arte, con momenti di esaltante comicità. E’ così che una pizza stirata diventa un omaggio a Dalì, un’esplosione nel forno si trasforma nell’annuncio di una nuova serie Netflix (“Ritorno a Chernobyl”), un panettone “occhiuto” per elefentiasi dell’uvetta diventa la Mummia del Similaun, dei pancake imbrattati assurgono a emblema dell’amore materno, una focaccina pugliese viene scambiata per una mappa delle zone rosse della Lombardia e un biscotto a forma di stella cometa depressa diventa il simbolo del Natale rubato dall’emergenza sanitaria, trasposizione in ambito gastronomico del pessimismo cosmico di leopardiana memoria, un film di Dario Argento o, più scientificamente, una stella cadente che ha vissuto in maniera tragica l’impatto con l’atmosfera terrestre e si è messa a piangere. Decine di migliaia i like e i commenti esilaranti ai post, che hanno stemperato il tetro sapore di lockdown festivo.
Semplici le regole del gruppo: «Se fa venire fame non è per “cucinaremale”; niente sprechi (senza essere bacchetoni, anche se mal cucinato il cibo va rispettato, se è destinato al cestino o sprecato non è adatto a cucinaremale); niente domande e consigli» (sconsigliatissimo darne e chiederne, trattandosi di una community di pasticcioni). Ma alla fine inizia a serpeggiare il dubbio che ci sia più amore per il cibo in questi eroici tentativi di cucina finiti male che non nella degenerazione markettara che trasforma l’atto naturale del mangiare in slogan e pubblicità, o in un lusso per palati snob e artificiali (quella che chiamerei, per scomodare il sociologo Baudrillard, “semiotizzazione del cibo”). La moltiplicazione dei pani e dei pesci su scala mondiale è avvenuta infatti nel segno del turbocapitalismo, e il feticcio dell’eccellenza gestronomica è una delle applicazioni al cibo delle logiche del profitto consumistico.
Abbiamo una “storia dell’arte di capolavori” riprodotti fino al disgusto, avremo una cucina di pseudoeccellenze in grado di realizzare il “banchetto della nausea” imbandito con buon anticipo dagli artisti pop. D’altronde Oldenburg (scultore della pop-art) è già un mezzo burger, e dal masterpiece al masterchef il passo è breve, anche verbalmente. Si diceva che “la bellezza è devianza”, ma gli “eccellenti”, in fondo, siedono tutti allo stesso tavolo. Come l’ostentazione del sesso ha prodotto un’eccitazione diffusa con tratti frigidi e quasi casti, così il fornello onnipresente promuove un appetito diffuso che ci priverà della fame. Perché solo la fame conosce sazietà, e la gente sazia smette per qualche attimo di consumare.
Cucinaremale ci salverà. Si spera.
Alessandro Paolo Lombardo