Nell’antico Israele dei tempi biblici, esisteva il rito del giubileo. La legge del Levitico stabiliva, infatti, che ogni 49 anni venisse celebrato il giubileo, un anno in cui tutte le attività umane venivano sospese, compresa l’agricoltura, e la terra veniva lasciata riposarsi dall’incessante morso dell’aratro. Il popolo era lasciato per un anno libero da tasse e impegni lavorativi, i debiti soppressi, gli schiavi liberati. Durante l’anno sabbatico ci si nutriva con le riserve o con i frutti naturali nati spontaneamente.
Ciò che importa è che ogni cinquant’anni avveniva che sia la terra sia la società umana fossero lasciate libere di rigenerarsi. Infatti, in natura, ogni cosa ha bisogno del suo tempo di ripresa, di rigenerazione e riposo, onde tornare a produrre (in un’ottica generativa molto lontana dalla mera replicazione di denaro). Da questa legge, a cui obbedisce ogni essere vivente sul pianeta – si pensi al letargo di tantissime specie animali e al ciclo stagionale in cui l’intera natura si riposa – non è esente l’uomo. E tuttavia l’uomo ha imboccato una via di sviluppo economico di stampo neo-capitalista, in cui al sacrosanto ritmo della natura è subentrato il ritmo del mercato, ente artificiale creato dagli uomini, che è composto sostanzialmente dagli interessi contrapposti di ricchi attori economici privati, che pongono il profitto sopra ogni cosa. La produzione dev’essere continua, perché continuo dev’essere il consumo, e viceversa. Tutto deve essere funzionale al mercato e ogni cosa deve essere economicamente redditizia, in un vortice “biocapitalista” che è riuscito a estrarre quantità, dunque numeri e soldi, da ogni nostro gesto anche privato, nel tempo libero: una lettura (sul web), un click, un “like”, una fotografia. Non c’è tempo per riposare e il capitalismo ambisce persino a rubarci il sonno.
Ma la natura è paziente: noi viviamo in essa (e l’incontrario, siamo interdipendenti), ed è per via delle sue leggi che possiamo agire sul pianeta. Due mesi fa, in Cina, la grande fabbrica del mondo globalizzato, è apparso il coronavirus Covid19. Per poter limitare i casi di contagio, la Cina ha bloccato le sue attività economiche, riducendole al minimo e anteponendo per la prima volta al profitto economico, la necessità di salute pubblica. Il virus, però, è diventato globale (grazie alle interconnessioni del mondo d’oggi), ed è giunto in Occidente. Scelte simili a quelle cinesi sono state fatte anche da altri paesi, tra cui l’Italia. Traffico ridotto, poco smog, la pianura padana libera dalla cappa di gas che l’avviluppava: a Milano la gente respira aria normale dopo 30 anni, come è successo persino, in tempi record, in una vasta area della Cina.
Sembra quasi che, pur rimanendo il pericolo serio del virus e la paura che giustamente esso ci incute per nuovi contagi o morti, questo ‘’mostro’’ ci abbia ricordato che non siamo separati dal pianeta, e che i ritmi del mercato e della produzione capitalistica, non combaciano con i ritmi della natura (e dell’uomo stesso, ci viene da pensare). Sembra che siamo chiamati al riposo, alla rigenerazione di terra e società di biblica memoria, sospendendo o attenuando, anche se per poco, il pesante impatto della industria moderna sull’ambiente e sul territorio, permettendo alla natura e agli uomini, stanchi e consumati dall’incessante sforzo economico, finalmente, di riposarsi. Niente dura per sempre, nemmeno il Covid19 è esente da questa legge universale: godiamoci, quindi, il meritato riposo, in attesa della sua inevitabile fine.
Giuseppe Esposito