Non c’è, nel web e forse nell’intero universo conosciuto, un argomento più noioso dei debunker e dei cosiddetti siti anti-bufale. Nel contrastare le cosiddette fake-news senza particolari competenze giornalistiche, d’inchiesta e senza alcuna visione della società, i debunker non fanno che puntellare in maniera acritica verità ufficiali e istituzionali, risultando il contraltare noioso del complottismo. Se a quest’ultimo fenomeno si può riconoscere, quanto meno, una certa godibile fantasia e un fondo di «critiche legittime ai sistemi di potere», i debunker appaiono invece come dei miopi burocrati dell’ordine costituito, che sviano facilmente l’attenzione di fronte al padre di tutti i veri complotti: il “capitalismo” (soprattutto nella sua apoteosi digitale). Ne parliamo con questo interessate contributo di Salvatore Setola
Uno dei tanti effetti catastrofici del complottismo è il proliferare di siti di debunking e fact checker, ossia redazioni di esperti o sedicenti tali che si arrogano l’autorevolezza e l’arbitrio di confutare – fatti alla mano – se una tale affermazione, teoria o notizia abbia un fondamento oppure no. Nonostante la patina di neutralità nella quale il debunking si ammanta, esso non è altro che il fondo speculare del complottismo: se le teorie del complotto prendono delle critiche legittime ai sistemi di potere, ne esasperano i contorni in modo irrazionale e le sparano nell’iperuranio del ridicolo quando non del delirio psicotico – col risultato di delegittimare ogni altra critica necessaria e ragionevole, giacché, dal momento che esiste una teoria del complotto, qualsiasi critica all’egemonia culturale corrente sarà derubricata indistintamente sotto quella voce – allo stesso modo i debunker prendono una controversia, la epurano dagli aspetti più problematici e la confezionano a uso e consumo di una visione del mondo sostanzialmente acritica.
L’obiettivo del debunker non è infatti quello di controllare la sensatezza di un’affermazione e vedere dove l’indagine lo porta. No, il debunker sa già in partenza che la meta della sua confutazione dovrà essere la “verità ufficiale” e, tenendo ben presente il punto di arrivo, sceglie di volta in volta le rotte più adatte e persuasive per arrivarci. Praticamente se i complottisti sono gli scemi del villaggio postfascista, i debunker sono il braccio discreto del ministero della propaganda. Prendiamo Massimo Polidoro, per esempio. È indubbiamente un bravo giornalista scientifico, amico di Piero Angela e Presidente Nazione del CICAP, il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale. Si definisce indagatore del mistero e sul suo canale YouTube conduce una serie di interessanti rubriche in cui analizza con gli strumenti epistemologici del metodo scientifico l’attendibilità di teorie ufologiche, fenomeni paranormali e leggende fantascientifiche. Ora, finché si tratta di vere e proprie cosmogonie fantastiche come quella degli antichi astronauti, che archeologicamente e antropologicamente non stanno giá da sole in piedi senza bisogno della spinta del debunker, il gioco è pure piacevole, sebbene occorra dare quantomeno atto a questa “sottocultura” di aver ispirato spesso dell’ottima fantascienza, da Stargate a Ridley Scott.
Spostandosi però su argomenti più delicati, afferenti alla religione, all’economia o alla politica, le magagne ideologiche di questo tipo di impostazione che si dichiara imparziale e neutra, risultano evidenti a chiunque abbia a cuore pluralismo e ragion critica. Due video del ricco canale YouTube di Polidoro mi hanno recentemente colpito: uno dedicato alle possessioni demoniache, l’altro alle bufale economiche. Sul primo fenomeno non mi interessa stabilire se sia reale o meno, se il demonio esista o no; mi interessa la disonesta impostazione metodologica adottata dall’indagatore del mistero: tralasciando il fatto che tutto ciò che attiene alla spiritualità è ascentifico per definizione, essendo per sua natura oltre la scienza in quanto esperienza interiore non replicabile oggettivamente, Polidoro usa il rasoio di Occam per ricondurre i presunti casi di possessione demoniaca alla spiegazione più semplice: è tutta suggestione indotta dal contesto culturale. Su un piatto mette Padre Amorth e uno psicologo americano in odor di cialtronaggine, sull’altro chiama a deporre lo psicologo De Vincentis, guarda caso anche lui membro del CICAP: tu oste che vendi il vino, dimmi, il tuo vino è buono?
Non una parola sul fatto che gli stessi esorcisti procedono a un rito così estremo solo nell’un per centro dei casi e solo quando l’Intervento psicologico o psichiatrico non ha prodotto alcun effetto terapeutico; non un accenno ai professori Luigi Janiri e Richard Gallagher, psichiatri e stimati docenti accademici, che collaborano da decenni con gli esorcisti studiando senza pregiudizi il fenomeno; non una parola su Jung che pur spiegando la possessione come un contenuto psichico proiettato verso l’esterno, si concedeva il dubbio di un problema non sempre risolvibile dalla scienza. L’unico riferimento è al tarantismo studiato da Ernesto De Martino, che però non ha alcuna attinenza contestuale col fenomeno delle presunte possessioni demoniache, ma lo si tira in ballo giusto per fornire un precedente autorevole all’opzione della suggestione culturale. Chi se ne frega del demonio, si direbbe, siamo nel 2022!
Eppure la questione non è così irrilevante anche per noi materialisti secolarizzati, perché poi ti ritrovi lo stesso metodo ingannevole applicato in un video sulle bufale economiche con Cottarelli ospite. Ancora una volta: oste che vendi il vino, dimmi, il tuo vino è buono? L’intervista col professore punta a dimostrare che l’economia è una scienza neutra e razionale, maneggiata da responsabili esperti con l’unico scopo di prendere i provvedimenti più efficienti e razionali ai fini del bene comune. Non esistono dunque gruppi di potere, non esistono interessi di classe, quella è roba per complottisti, mentre i debunker si appellano solo alla fredda scienza. Per caso e per pluralismo, i due fact checker dicono che le teorie neoclassiche sull’austerità, sull’inflazione, sul mercato che si regola da solo, sui licenziamenti e sulle delocalizzazioni sono dogmi di un pensiero unico smentiti da numerosi studi e dati? Per caso e per pluralismo, i due debunker accennano a un’economia come scienza della razionalità limitata le cui previsioni hanno spesso lo stesso valore di quelle di Nostradamus? Per caso e per pluralismo, si porta il contraddittorio di correnti accademiche diverse, da Branko Milanovic a Thomas Piketty, da Ha-Joon Chang all’ottimo Emiliano Brancaccio? Per caso e per pluralismo, i due paladini della verità dei numeri, lo riportano che l’80 per cento del capitale finanziario è in mano al 2 per cento degli investitori e che una telefonata da una spiaggia delle Bahamas permette a uno speculatore di guadagnare 10 milioni di euro in dieci minuti grazie a una compravendita spregiudicata di titoli di Stato sulla pelle dei cittadini?
No, perché al debunking non interessa problematizzare; l’idea che il video vuole far passare è che esista una scienza economica esatta, retta dagli esperti che detengono la verità ufficiale, e tutti gli indirizzi accademici alternativi sono da relegare alla superstizione, esattamente come chi cerca gli Ufo nella Bibbia, sull’Isola di Pasqua o nei dipinti di Masolino da Panicale. Per quale altro motivo, altrimenti, un comitato nato per confutare superstizioni sul paranormale dovrebbe occuparsi di una disciplina tanto solida come l’economia? Aveva ragione il grande Giorgio Galli quando rimproverava a Piero Angela e al CICAP di accaldarsi tanto sugli astrologi e sui veggenti per aver truffato qualche ricco credulone con soldi da buttare, e al contempo non dire nemmeno una parola di fronte ai dogmi antiscientifici e alle superstizioni delle previsioni finanziarie che nel 2009 hanno sbattuto sul lastrico milioni di persone. Evidentemente, quando le superstizioni viaggiano sulle ali di credulità popolare e fantasie ufologiche si chiamano “ignoranza” o “bufale”, ma se viaggiano sul conto corrente di un’agenzia finanziaria o di una multinazionale, in quel caso e solo in quel caso si chiamano “fatti”.
Salvatore Setola