Sono tanti i personaggi più o meno famosi che hanno sottolineato il proprio rapporto di conoscenza o amicizia con Franco Battiato, nei giorni successivi all’ultimo volo del maestro. Ma è prerogativa della vera arte superare e trascendere i meri rapporti di contiguità fisica e sociale, oltrepassare le barriere dell’esistenza ordinaria innescando incontri surreali e svolte esistenziali. C’è chi attraverso la sua musica ha conosciuto Guénon, chi ha scoperto il Monte Athos, chi ha incontrato i dervisci, come nel racconto che proponiamo di Giuseppe Tecce. E si può dire che, in fondo, tutte queste persone abbiano realmente “incontrato” Battiato
«Correva il mese di Aprile del 2014 e ancora una volta Battiato entrò con prepotenza nella mia vita. Ero ad Istanbul per un progetto europeo sulle disabilità. Dopo 4 giorni di lavoro tra Izmit, Kocaeli e Golchuc, sul mar di Marmara, immersi tra l’immensità di un cielo blu e Minareti a picco su uno dei mari più misteriosi per noi mediterranei, ci trasferiamo ad Istanbul per una due giorni di visita. Dopo una lunga giornata trascorsa tra Aghia Sophia, la Moschea Blu ed il Suq, mangiando baklava come se non esistesse un domani, arriva la sera. I miei colleghi decidono di andare in un ristorante sul Bosforo. Io avevo altri programmi.
Dopo giorni interi della mia vita passati ad ascoltare e a cantare “Voglio vederti danzare”, il verso relativo ai Dervishi Rotanti mi rimbombava nel cervello. Potevo non approfittare della mia presenza ad Istanbul per andare a salutarli? Così, sfanculati i colleghi, vado dal portiere dell’hotel e gli spiego, in una lingua fatta di inglese e di gesti, della mia passione. Ci pensa un attimo, poi mi dice: sei fortunato oggi è giovedì ed è il giorno in cui si riunisce una confraternita Sufi dove ci sono i Dervishi. Chiama la confraternita, si accerta che gli stranieri siano ammessi, e mi chiama un taxi, arrivato in 10 minuti, dandogli indicazioni precise su dove portarmi. Il tassista parlava solo in turco ed era complicatissimo approcciarsi a lui. Presto lascia le strade principali ed inizia a spingersi nei vicoletti della città antica, pavimentati a basoli ed illuminati da bassi lampioni a luce gialla. Era la città più antica, quella romana. Arrivato ad un certo punto si ferma. La macchina non poteva procedere oltre, i vicoli erano eccessivamente stretti. Mi fa scendere, pago e mi indica con la mano di andare dritto e poi di svoltare a destra. Erano le 20.30 di un giovedì di aprile. Era già notte fonda, nei vicoli non c’era anima viva e tutte le case erano chiuse. Mi incammino, così da solo, nella direzione che aveva indicato, sperando di aver capito bene. Fortunatamente dopo 5 minuti di cammino tiro un sospiro di sollievo, quando in fondo ad una strada vedo un’insegna accesa con una parola che assomigliava a quella di confraternita.
Busso alla porta e mi apre una donna, gentilissima. Mi prende con cura il giubbotto e lo appende, mi fa togliere le scarpe e le ripone in una enorme scarpiera a muro piena fino all’inverosimile di altre scarpe. Poi, scalzo mi fa entrare in una grande sala con una grande rotonda di legno al centro e due spazi laterali, uno a destra ed uno a sinistra allestiti con delle sedie. Sulle sedie a sinistra vi erano solo uomini, e in quello opposto vi erano solo donne. La signora che mi aveva accompagnato mi dice in inglese che era proibito fare fotografie e si congeda. In 10 minuti entrano sulla rotonda circa 10 uomini, vestiti con mantelli scuri, che ben presto tolgono mostrando gli abiti tipici dei dervishi, con la parte bassa formata da una gonna scampanata che forma quella tipica figura quando iniziano a girare. Intanto da un soppalco, in alto, riportante sul frontone la scritta “YA HAZRETI MEVLANA” in caratteri dorati, principia una litania suonata da uomini vestiti con pesanti mantelli neri e lunghissimi fez. Un uomo più anziano, sulla rotonda, tocca sulla fronte, uno per uno i dervishi, dando inizio alla parte mistica. Recitando delle preghiere i 10 uomini iniziano a volteggiare al centro della rotonda, prendendo presto la tipica posizione dei dervishi rotanti in preghiera. Si perché in sostanza, quello è il loro modo di pregare. Sono asceti della religione musulmana, accaniti sostenitori della pace e per questo, spesso, non ben visti dai musulmani radicali.
Nel mentre che si svolgeva lo spettacolo, ci portano delle vivande: prima dei contenitori con una pasta, che sembrava cotta al forno e poi una bevanda a base di kefir veramente buona. Finiti tutti i volteggiamenti, dopo circa 45 minuti, prende la parola un uomo anziano, ben vestito, che, seduto al centro della rotonda, inizia a predicare. Non so cosa dicesse in turco, ma una cosa la so per certa e cioè che tutti i presenti all’unisono iniziarono a piangere, in un pianto a dirotto, che non trovava consolazione. Finita la predica, tutti i presenti si mettono in fila davanti a quest’uomo ed inizia un baciamano intenso, anzi qualcuno gli si butta ai piedi, baciandoglieli. Per non mancare di rispetto a quella persona, mi metto anche io in coda e gli bacio la mano, allontanandomi, poi, piegato e senza mai voltargli le spalle. Finito tutto quello che c’era da fare, verso mezzanotte usciamo all’esterno del centro culturale. Solo, spaesato, senza sapere la lingua e senza sapere dove mi trovavo, faccio 10 passi verso la fine del vicolo, quando da dietro sbuca una macchina grande, una di quelle a 7 posti, e dentro si sbracciano 4 persone, che poi riconosco essere state presenti nella sala. Di fatto si offrono di accompagnarmi in hotel e, con un’ospitalitá come poche, mi offrono da bere, e poi gomme da masticare e quant’altro fino a quando non mi lasciano davanti all’ingresso dell’hotel. Anche per questa serata fui molto grato a Battiato che aveva influenzato l’andamento della mia esistenza.
Giuseppe Tecce
ps: le foto che qui posto sono un dono, scattato di nascosto.