«Difendere l’ambiente per salvare noi stessi e le nostre comunità», questa la mission – già prima del Coronavirus – dell’associazione irpina “Ecopotea“, fondata su un progetto di comunità che mira alla condivisione e all’autoproduzione agricola collettiva. E ora che l’epidemia globale ha mostrato in pieno la follia della globalizzazione, l’idea di vecchienuove comunità rurali coese e potenzialmente autosufficienti appare come una possibilità di salvezza. Ne parliamo con Giuseppe Ciarcia di “Ecopotea”
«Siamo un gruppo di famiglie provenienti dallo stesso territorio, individui cresciuti con le stesse tradizioni che si uniscono con l’obiettivo comune non solo di produrre alimenti sani – racconta Ciarcia – ma anche di condividere comportamenti sociali etici e solidali. Seguiamo in prima persona le fasi produttive, attuando una continua didattica sul campo ai nostri figli. Siamo donne, uomini, produttori e consumatori con l’intento di promuovere uno scambio reciproco di conoscenze. Siamo anche narratori di storie e leggende attinenti a un mondo che tenta di scomparire».
Come si svolge il vostro progetto di comunità?
Il progetto di Ecopotea, avviato da tre anni, si snoda intorno a 7 punti fondamentali di riferimento: salute, condivisione, economia locale, trasparenza nell’attuazione del progetto, salvaguardia dell’ambiente, della cultura e della tradizione locale, ludicità. Attualmente “Ecopotea” produce grano, farro, ceci e fagioli, coltivati insieme ai contadini su terreni di loro proprietà o su terreni donati alla comunità. Le famiglie della comunità acquistano una quota del prodotto coltivato in modo naturale, assumendosi così la responsabilità della resa annuale. Le stesse famiglie partecipano alle attività agricole, dalla “scellecatura” alla cernitura e cosi via: pratichiamo la rotazione agraria ed è escluso l’uso del concime chimico. Alla fine del processo, ci dividamo i prodotti raccolti o la farina, e quest’anno mireremo alla produzione di pasta fresca.
Qual è il ruolo che realtà di questo tipo possono avere in questo periodo di emergenza e soprattutto di qui a breve, quando l’Italia sarà in recessione?
“Ecopotea”, come altre realtà simili, in questo momento di isolamento non fa sentire le persone sole, enfatizzando la percezione comune del problema e l’idea di una possibile soluzione comune, magari ripartendo dalla nostra terra, a chilometro zero. Partecipando al progetto di comunità, si entra in una realtà lenta, fatta di condivisione di momenti, sia reali che virtuali. Quindi, siamo già allenati ad andare piano e ad assaporare un momento fino in fondo. Sul piano pratico, abbiamo inoltre potuto aiutare, con i nostri prodotti, alcune famiglie che hanno avuto la sfortuna di non avere niente da mangiare in questo momento assurdo. Al contempo, per i contadini, il progetto di “Ecopotea” è importante perché dà loro la forza di andare avanti, ottenendo una considerazione maggiore per il prezioso lavoro svolto e una retribuzione sicura.
Tornare alla terra in un’ottica di comunità in grado di autosostenersi può essere secondo te un freno ai rischi del globalismo di cui il coronavirus ci ha dato un’amara prova? Ci si può difendere meglio, o quantomeno affrontare meglio le crisi?
Penso che la realtà contadina, quella vera, è sempre stata così: una comunità che condivide i momenti difficile e non ti lascia mai da solo. Purtroppo negli ultimi anni, invece si è ritrovata lei da sola a dover affrontare la globalizzazione delle produzioni ed è rimasta schiacciata. Le famiglie sono i soccorritori, coloro che devono sostenere le scelte giuste, anche perché il cibo è destinato ad ognuno di noi. Non possiamo far finta di niente e poi pretendere prodotti sani, coltivati in ambienti sani.
In genere alcune attività del gruppo di comunità vengono effettuate collettivamente, come la “scellecatura”. Come vi regolerete quest’anno?
La “scellecatura” è il diserbo manuale dei campi coltivati. In pratica, sradichiamo le piante spontanee che vanno in competizione con le piante che coltiviamo. Questa volta la faremo distanziati di 2 metri e con l’ausilio delle mascherine.
apl