In-vocare significa letteralmente “chiamare dentro”, tipicamente una divinità, allo scopo di ottenere una in-luminazione, una in-spirazione (d’altronde lo spirito “soffia” dove vuole). Nella Grecia antica è una Musa a entrare nel corpo del poeta con immagini, parole, suoni, archetipi, facendo di lui il contenitore che mescerà storie e simboli dell’invisibile per l’umanità. Colpito da questa in-luminazione, il poeta vede altri tempi, come un profeta, i suoi occhi si chiudono sul mondo (“O mè oròn” significa “colui che non vede”) e la sua vista, diventata in-teriore, si apre su tanti mondi
Ho provato a tradurre questa idea giocando con gli alunni a fare i “gran traduttori dei traduttori di Omero” (copyright Foscolo), prendendo spunto dalle varie traduzioni per farne una propria. La parola magica con cui ho sostituto “Cantami”, “Narrami” o “Raccontami” è stata “In-cantami”, intesa letteralmente come “cantami dentro” (potenza dei prefissi, umili ma onesti). Solo accogliendo la voce della Musa il poeta può avere l’inspirazione, entrare in uno stato di “incanto” da cui far partire il suo canto. Forse sono stato un po’ ripetitivo. Comunque, ecco la mia proposta di traduzione.
In-cantami Musa
la rabbia furiosa di Achille
che tanto dolore portò agli Achei
e tante anime di eroi
alla morte, tenebroso pasto
per uccelli e cani.
Questo, per Zeus, il fio
dell’orrido contrasto
tra Atride, re di umani,
e Achille semidio.
Alessandro Paolo Lombardo