Attraverso il “cazzeggio”, una nuova narrazione? Parola a Francesco Ebbasta di The Jackal, gruppo di videomaking che vale milioni (di visite)
L’abbiamo stanato alla mediateca MARTE di Cava de’ Tirreni, ad uno start up durato tre giorni di fine aprile chiamato appunto START, «viaggio verso le dinamiche dell’immateriale dove la creatività è un effettivo “ascensore sociale” concretamente alternativo alle politiche a breve termine» (Alfonso Amendola). Si chiama Capaldo ma, siccome ha dismesso il suo cognome, ora è Francesco Ebbasta. Come può fare cinema uno che si fa chiamare Ebbasta?, penserete. Terence Hill, lui sì che li sapeva scegliere i nickname.
Francesco Ebbasta non fa cinema, almeno per il momento. Il grande successo della creatura che ha creato insieme ad altri amici d’infanzia, The Jackal, gruppo videomaking indipendente di cui è il regista, è legato al mondo del web. Il loro video in assoluto più visto con 1.349.589 di visite alle 13.59 del 2 maggio, è la parodia dello spot di Lines Seta Ultra, caricata nel 2008. Una battaglia civile, in quel caso, in cui gli sciacalli mostrarono i rischi in cui incorre una ragazza che si sottopone a un provino con le mestruazioni, ad onta delle rassicurazioni dei produttori di assorbenti.
Saltiamo tutto quello che c’è dal 2008 ad oggi, quando The Jackal sbanca il web con la sua prima web series Lost in Google, da Ebbasta definita una «furbata all’apice del web 2.0». Lost in Google, o Gògol per dirla con Berlusconi, è una serie basata sui commenti degli stessi utenti che ha visto la partecipazione di Caparezza, Roberto Giacobbo e altri volti noti. Si parte, puntata zero, con una delle più famose leggende metropolitane riguardo il motore di ricerca: mai cercare google su google, potrebbe verificarsi un paradosso spaziotemporale in grado di distruggere l’universo (o qualcosa del genere). «Dopo la puntata zero ci sono giunti una serie di commenti geniali, perché non sfruttarli?», dichiara Ebbasta. Lo “sciacallaggio” verso cinema e televisione che ha dato il nome al gruppo partenopeo nato nel 2005 si apre anche al mondo dei commenti.
Così si verifica qualcosa di straordinario, un paradosso spaziotemporale in grado di vivificare, in parte sterminandola, la metastasi di commenti, cartina al tornasole di un autore di grido. Gli sconnessi dermiurghi di un submondo subcreativo brulicante di non vita vengono ammessi nell’atto creativo, le reazioni degli utenti diventano materiale ready-made accostato con lucidità visionaria dada. «L’operazione non era semplice, e abbiamo dovuto per la prima volta chiedere aiuto ad uno sceneggiatore.» La teleritualità collettiva funziona sotto la clinica regia del videomaker, composita autorialità «che non va assolutamente sfarinata per piacere». Pena il nonsense privo di stile.
In Io sono molto leggenda, The Jackal 2008, alla finzione spettava il compito di restituire il senso palpabile della vergognosa realtà del reale, una realtà rimossa assieme alla recita del tg serale. L’emergenza rifiuti in Campania diventava lo sfondo della storia di Ruzzo Simone, ultimo uomo sopravvissuto a Napoli, senza saper cucinare, per giunta. Il molto lieto fine di Ruzzo Simone provvedeva ad un netto taglio ombelicale tra realtà e finzione. Da una parte l’ironia, dall’altra l’inverecondo, il politico, le discariche, la camorra (la mappa degli inceneritori in Campania, aggiungerei).
In Lost in Google, invece, Il “montaggio intermediale” (Pietro Montani) genera un attrito tra i commenti reali e il paese delle meraviglie informatico di strana qualificazione ontologica in cui finisce il protagonista. Gli utenti vengono tutti catturati, assieme a Ruzzo e ai loro commenti. Lost in youtube, che poi sarebbe la stessa cosa di google. E’ il web 2.0, dove gli sciacalli provano a raccontare, spolpando cosce narrative di carogne, storie per il nuovo mondo.
Alessandro Paolo Lombardo