Basta la prospettiva di una cena fuori, di uno spritz estivo su una spiaggia erosa e incendiata dal surriscaldamento climatico, di un centro commerciale con l’aria condizionata a palla dove pascolare per qualche ora, e, nonostante tutta la merda ingoiata nell’ultimo anno (a dire il vero anche prima), ci acquietiamo come cani a cui è stato tirato un osso.
Nei suoi Scritti Corsari, Pier Paolo Pasolini scriveva che la società dei consumi «ha bene realizzato il fascismo». Nulla di più vero. Cos’altro è questa sorda indifferenza, questa passività inerme, questa atroce durezza d’animo su cui ogni barbarie scivola via come l’acqua, si normalizza, contagia il corpo sociale senza nemmeno bisogno di manganello e olio di ricino?
Nel breve spazio di due mesi siamo riusciti a digerire agevolmente la morte di 130 esseri umani davanti alle nostre coste in un solo naufragio, i corpi cremati per le strade di New Delhi, il Brasile senza anestetici per gli intubati, ma anche, senza andare troppo lontano, due raid armati contro gli attivisti della Lega Braccianti nelle campagne foggiane, le botte ai lavoratori della logistica a Lodi, il barbaro omicidio del sindacalista Adil Belakhdim (episodi non gravissimi, di più: le squadracce fasciste questo facevano nei primi anni Venti contro chi osava alzare la testa).
In questa manciata di settimane non abbiamo battuto ciglio di fronte a alle morti di Camara Fantamadi (altro che inchino) e Antonio Valente, stroncati da questo sole bianco, feroce, inquietante mentre lavoravano nei campi brindisini e per le strade leccesi; non abbiamo convocato un sacrosanto sciopero generale per Luana, divorata a 22 anni da un orditoio manomesso per produrre più in fretta e, dopo il consueto ciclo indignazione social-commozione-passaggio distratto al trend topic successivo, abbiamo forse già dimenticato anche gli innocenti del Mottarone, uccisi da un mollettone non rimosso per la furia di profitto.
In questi due mesi abbiamo accettato remissivi un Recovery Plan varato quasi al buio, senza Parlamento e soprattutto senza mettere in questione nulla di un modello di sviluppo ormai prossimo al collasso (al netto delle chiacchiere su una green economy che è solo green washing), e subìto (pur tra qualche timido tentativo di protesta) una guerra mediatica senza quartiere al reddito di cittadinanza, ormai presunto colpevole di ogni nefandezza e di ogni poltroneria, anche se poi nel paese reale milioni di persone lavorano 50-60 ore a settimana, senza diritti e senza garanzie, talvolta per salari non molto più alti dell’importo medio del sussidio pentastellato (559 euro al mese). Dal primo luglio, infine, chineremo il capo anche di fronte allo sblocco dei licenziamenti, festeggiato quasi come una liberazione dal nostro scodinzolante apparato mediatico e in realtà ennesima bomba sociale sul corpo già martoriato della nazione.
Ecco, di fronte a tutto questo un paese non ridotto al coma politico e spirituale la sua quota di assembramenti se la giocherebbe non per l’apericena, ma per una mobilitazione permanente, per un assedio implacabile alle istituzioni di una civiltà moribonda, che ormai non ha visione, non ha un piano per le vite e per il futuro di tutti noi. Una civiltà non sfibrata da settant’anni di consumismo e di conformismo – e, prima ancora di Pasolini, queste cose le aveva già capite un secolo fa Antonio Gramsci – metterebbe con le spalle al muro i leader di questa macchina globale inscalfibile e acefala e pretenderebbe di sapere cosa intendono fare – non per puro buon cuore ma nel nostro stesso interesse di occidentali, altrimenti destinati a essere travolti dalla storia – per garantire equità vaccinale in tutto il mondo, fermare la strage dei migranti nel Mediterraneo, risolvere la tragedia di un lavoro che o non c’è o è sempre più un’inutile tortura, arrestare una crisi ambientale che lunedì in Oregon ha fatto registrare temperature di 20° sopra la media stagionale (a Portland c’erano 44,4° anziché i 24° consueti in questo periodo dell’anno).
Costoro, soprattutto, andrebbero assediati per farsi spiegare qual è il piano, sul lungo periodo, per impedire che lo stupro capitalistico del mondo riproduca nuove pandemie, nuovi disastri ambientali, nuovi collassi sempre più estesi e ingestibili, che tra non molto potrebbero rendere infernale la vita nostra e delle altre specie su questo pianeta. Invece delle misere zuffe quotidiane di questi zombie del piccolo cabotaggio politico, avremmo un estremo bisogno di ridiscutere pubblicamente come produrre beni e energia, quanto consumare, inquinare, spostarci, in che modo gestire le scoperte della scienza ed educare le nuove generazioni. Senza un’opposizione politica radicale e di massa, però, questa discussione gigantesca non avverrà mai. Ora, il problema è che se, come si diceva una volta, «un fascista e dieci qualunquisti fanno undici fascisti», oggi un capitalista cieco e dieci pecoroni dei consumi (e tra di essi io per primo, sia chiaro) fanno undici uomini senza futuro.
Gianpaolo Pepe