Albero solare per eccellenza, l’alloro è una pianta dalle proprietà salutistiche molto interessanti e anche molto apprezzata in cucina. Dal mito greco agli antenati dei mostacciuoli.
Nella mitologia greco-romana esistono diversi miti riguardanti la pianta di alloro, tutti incentrati sulle figure di Dafne (in greco antico Δάφνη, Dáphne, “alloro”) e di Apollo. In tutte le versioni, Apollo si innamora della bellissima Dafne (secondo alcuni autori una naiade figlia del fiume Ladone, secondo altri figlia del fiume Peneo o ancora una mortale, figlia di Amicla, re di Sparta), che però rifiuta l’amore del dio e fugge via da lui, che ovviamente la insegue. Poco prima di essere raggiunta, la fanciulla supplica una divinità (Ladone, Peneo, Zeus o Gea, a seconda delle versioni del mito) perché possa salvarla. La divinità ascolta la preghiera e la giovinetta viene trasformata in una pianta di alloro, che, da quel momento in poi, diventa albero sacro ad Apollo [Cattabiani].
In alcuni miti compare anche il giovane mortale Leucippo (dal greco, “cavallo bianco”). Anch’egli innamorato di Dafne, ben sapendo che lei non avrebbe mai acconsentito a lasciarsi avvicinare da un uomo, si traveste da donna e segue l’amata nelle sue scorribande tra i boschi. Apollo, ingelosito, al fine di far scoprire la vera identità del giovane, ispira a Dafne e alle sue compagne il desiderio di bagnarsi in una fonte (o nel fiume Ladone). Leucippo viene costretto a svestirsi e viene quindi smascherato (a seconda delle fonti, viene ucciso o riesce a salvarsi grazie all’intervento degli dei che, impietositi, lo rendono invisibile) [Cattabiani].
In tutti i casi, Dafne è descritta come un bellissima giovane donna appassionata di caccia e fermamente determinata a preservare la verginità, alla maniera di Artemide, divinità a cui la giovinetta è chiaramente associata. L’associazione di Dafne con Artemide non è soltanto un rimando analogico, ma è presumibilmente memoria di una più antica tradizione cultuale. La stessa Artemide, ad esempio, era venerata come “Daphnaia” (Pausania, “Periegesi della Grecia” iii, 24.8) ad Hypsoi, in Laconia, sul confine spartano, o come “Daphnia” ad Olimpia (Strabone, “Geografia” viii, 3.12). D’altra parte, l’alloro era considerato albero sacro tanto ad Artemide quanto ad Apollo.
Gli episodi mitici relativi all’alloro sono echi di un culto preellenico che aveva come teatro la valle di Tempe, in Tessaglia, dove scorre il fiume Peneo e da dove, secondo il mito, Apollo portò la pianta a Delphi. In quel luogo Dafne, una dea dalla testa di giumenta, detta la “rosso-porpora” o la “sanguinaria”, era venerata da un collegio di Menadi, orgiastiche masticatrici di alloro. Quando furono cacciate dalla Tessaglia dagli invasori Elleni che veneravano l’iperboreo Apollo, le sacerdotesse di Dafne si rifugiarono a Creta, dove , secondo Plutarco (“Agis”, 9), avrebbero adorato la dea sotto il nome di Pasiphaë, “quella che fa luce per tutti”, epiteto della Luna [Cattabiani].
La simbologia dell’alloro: profezia, sapienza e vittoria
La pianta di alloro è sempre stata ritenuta capace di conferire doti divinatorie. A Delfi soltanto la Pizia poteva masticarne le foglie che favorivano il vaticinio. Nell’antichità era considerata pianta profetica perché era un attributo del dio che “sa quel che sarà e fu ed è” [Cattabiani].
Ma l’alloro è anche un simbolo di vittoria. Già durante i Giochi Pitici (il cui nome deriva da quello di Pitone, serpente che proteggeva il tempio della Pizia) che si disputavano ogni quattro anni al santuario di Apollo a Delfi, i vincitori venivano coronati con una ghirlanda di alloro proveniente dalla città di Tempe [Cattabiani].
Nell’antica Roma, il generale vittorioso si faceva precedere da messaggeri che portavano in Campidoglio alcuni ramoscelli che deponevano sulle ginocchia di Giove Ottimo Massimo. Poi egli giungeva in città su un carro trainato da quattro cavalli incoronati con l’alloro, mantenendo egli stesso nella mano destra un fascio di lauro e recando sulla sua fronte una corona della stessa pianta. Con l’avvento dell’Impero, l’alloro fu riservato agli imperatori [Cattabiani].
Se nella Grecia antica la Luna era la fonte della poesia, con l’avvento di Apollo la funzione di supremo ispiratore passò al dio solare, il quale divenne maestro delle Muse che, secondo Esiodo, recavano in mano un ramoscello di alloro [Cattabiani].
Ancora oggi esiste l’usanza di ornare il capo dei giovani il giorno della laurea.
La medicina dell’alloro
Le foglie del Laurus nobilis, sotto forma di infuso, decotto o tintura idroalcolica, sono stimolanti e antisettiche; aiutano la digestione e contrastano le cattive fermentazioni intestinali, prevenendo la formazione di gas o favorendone l’eliminazione (carminativo); facilitano l’eliminazione del catarro.
L’olio ottenuto per espressione o per ebollizione in acqua delle drupe (e in minor misura l’oleolito ottenuto per macerazione di queste) è un ottimo rimedio per il trattamento dei dolori articolari e possiede proprietà antinfiammatorie cutanee che lo rendono utile per psoriasi e dermatiti (è usato come additivo nel sapone di Aleppo). In alcune persone può risultare fortemente allergizzante, per cui è sempre bene provarne prima una piccola quantità sulla pelle.
Il macerato glicerico ottenuto con le gemme del Laurus è un forte stimolante psicologico che può essere adoperato nel caso si debba sostenere un compito faticoso. È molto utile per riorientare e rendere armonicamente attive le proprie risorse. Può essere adoperato in caso di acne, affaticamento epatico, algie muscolari, depressione immunitaria, faringite, gengivostomatite, infezioni recidivanti delle prime vie aeree nell’infanzia, otite, parotite. È anche indicato nella sclerosi ghiandolare di gonadi, pancreas, ghiandole lacrimali, salivari e parotidee; per contrastare i fenomeni di sclerosi splenica e tiroidea; negli esiti di orchite, pancreatite e parotite anche virale [Piterà, Stefani].
Indagini preliminari sembrano indicare il macerato di giovani radici negli stadi di precancerosi e cancerosi del fegato e dell’apparato gastroenterico [Piterà].
L’alloro in cucina
Le foglie e le bacche dell’alloro possono essere usate fresche o secche come spezia. Le foglie possono essere raccolte tutto l’anno, essendo l’albero sempreverde, ma il momento migliore è l’estate. Le bacche (drupe) devono essere raccolte quando sono mature e di colore nero (quando sono immature sono verdi), cioè solitamente tra ottobre e novembre. L’alloro può essere utilizzato, ad esempio, per profumare le pietanze a base di carne, le castagne, i legumi (dei quali facilita la digestione).
Non più usata da tempo immemore, anche la corteccia d’alloro può essere impiegata come spezia. I “mustacei”, antenati degli odierni mostacciuoli, sono preparati, secondo una ricetta presente nel “De Agri Cultura” di Catone, nel seguente modo: “Intridi un moggio di farina con il mosto. Aggiungi a questo anice, cumino, due libbre di strutto, una libbra di formaggio e la corteccia grattugiata di un ramo di alloro, quando avrai dato la forma, metti sotto foglie di lauro e fai cuocere” (Catone, “De agri cultura”, 121).
A cura di Pierluigi Campidoglio.
Riferimenti
[Angelini] Angelo Angelini, “Il Serto di Iside”, 3.a ed., Ed. Kemi (2005)
[Cattabiani] Alfredo Cattabiani, “Florario”, Oscar Mondadori (2012)
[Piterà] Fernando Piterà, “Compendio di Gemmoterapia Clinica”, 6.a ed., Ed. De Ferrari (2007)
[Stefani] Stefano Stefani, Carlo Conti, Marco Vittori, “Manuale di Medicina Spagyrica”, Ed. Tecniche Nuove (2008)
L’immagine dell’opera “Apollo e Dafne” di Bernini è rilasciata sotto licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International da Architas, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons.
L’immagine della corona di alloro è rilasciata sotto licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International da Archeologo, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons.