In una delle sue ultime interviste a Pontelandolfo, il regista ricordava le polemiche che interessarono il festival “Benevento Città Spettacolo”, svelando i particolari di una vera e propria “congiura politica”: «Fui usato per attaccare l’allora sindaco Pietrantonio»
Sempre più spesso l’amore per il Sannio dei sanniti (quelli che restano, e che cominciano a doversi chiedere perché non se ne sono andati anche loro) appare debitore a una retorica “edenica”, al mito del giardino incontaminato salvo per miracolo tra pale eoliche e discariche abusive. E’ per tale miracolo forse mai avvenuto che questo Sannio dalle tinte sempre più toscaneggianti (anche grazie alle profezie degli amministratori sull’imminente apoteosi turistica) straborda di primizie un tempo riservate solo alle coste della Campania Felix, monili enogastronomici fondamentali per la costruzione di una stantia retorica della genuinità che possa anteporre, nella mente dei sanniti, l’orgoglio al disappunto per questo pezzo masochistico di entroterra.
L’affetto di Ugo Gregoretti per il Sannio non aveva niente dell’in-sostenibile retorica da area depressa. L’anziano regista sapeva che i polli sanniti non sono necessariamente più ruspanti di quelli che scorrazzano per l’agro laziale, come ebbe a dirmi a Pontelandolfo (paese in cui Gregoretti ha portato, a bordo di un promettente carro funebre, il suo archivio riconosciuto di interesse storico dal Ministero dei Beni Culturali). La domanda era stata: «Il “pollo ruspante” nel film “Ro.Go.Pa.G.” (diretto dal regista assieme a Rossellini, Godard e Pasolini, ndr) è il pollo che, a differenza del pollo d’allevamento, ha la libertà di decidere (quando mangiare, quando dormire…). Il suo interesse per Pontelandolfo e il Sannio è forse legato all’idea che l’arte e il teatro, come i polli, possano avere maggiore libertà in contesti ruspanti?».
Questa la risposta di Gregoretti: «Si pensava al pollo ruspante come a un pollo un po’ anarchico, dotato di grande libertà e capacità amatoria… Uno sciupagalline dalla riproduzione non programmata. Ora, bisognerebbe porsi la domanda se Pontelandolfo sia ruspante o d’allevamento, e non darei tanto per scontato che la risposta sia la prima. Un certo consumismo non si ferma alle porte del paese ma vi penetra gagliardamente. Oggi tutto è mercificato, e il piccolo paese ne viene coinvolto nella misura di tutto il resto. Né vedo nel Sannio una particolare virtuosità nell’opporsi a tale sistema».
La simpatia di Gregoretti per il Sannio soggiaceva, fortunatamente, alla sua consueta franchezza. Ritenendo che questa franchezza faccia parte a pieno titolo del lascito del maestro al Sannio, abbiamo deciso di pubblicare per la prima volta integralmente il suo racconto delle polemiche che alla fine degli anni Ottanta segnarono il suo abbandono della direzione dell’allora prestigioso festival “Benevento Città Spettacolo”, da lui fondato nel 1980 e diretto per dieci anni.
Il motivo: una congiura politica orchestrata da quel «figlio di mignotta». Chi? Benché il maestro abbia fatto con noncuranza nomi e soprattutto cognomi, questo lo lasciamo scoprire a voi, non essendo nostro fine strumentalizzare le parole del maestro per un attacco politico a orologeria. Ci teniamo tuttavia a sottolineare un passaggio del racconto: il rifiuto dell’avvocato di Gregoretti di sostenere l’allora direttore artistico in una eventuale battaglia legale per il timore di scontrarsi con una ramificata rete di parentele e intese che coinvolgevano anche il Tribunale di Benevento.
L’ultimo Gregoretti va al centro della questione: i polli sanniti non saranno più liberi del pollame d’allevamento finché reti di mediocri interessi privati (i galli dell’alta società sono d’altronde gli unici a saper fare rete, dalle nostre parti) continueranno a fare il buono e il cattivo tempo, a spianare il deserto allontanando il talento.
Buona visione. Arrivederci Gregoretti.
Alessandro Paolo Lombardo