La missione principale della storia – proverbiale magistra vitae – sarebbe quella di aiutare l’umanità a non ripetere gli errori del passato, consentendo alle persone di orizzontarsi nel tempo presente. Tuttavia, i manuali di Storia tendono a chiudere pagina con gli eventi “pienamente storicizzati” (etichetta che non sempre è una garanzia), riservando dei flash meno strutturati agli eventi più recenti, che gli studenti difficilmente riescono ad agganciare alle puntate precedenti. Non solo: proprio il gran finale dei programmi di Storia è spesso condannato a una trattazione frettolosa e superficiale nelle ultime settimane delle scuole medie o delle superiori. Insomma, è come vedere il finale di un film mentre si sta indossando il giubbino per lasciare il cinema, ascoltando a pezzi le ultime, cruciali, battute. Per provare a fornire una cornice chiara agli eventi più recenti si propone qui un tentativo di sintesi dalla fine dell’Unione Sovietica a oggi
Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, la crisi e la successiva disgregazione dell’Unione Sovietica (1991) genera un’onda che investe inevitabilmente tutto il mondo e il complesso dei rapporti geopolitici. L’equilibrio bipolare basato su un’irriducibile contrapposizione tra due superpotenze (con i rispettivi alleati in posizione subalterna e un Terzo Mondo condannato alla marginalità) lascia il posto a un predominio unipolare all’insegna dell’“eccezionalismo” americano in politica, in guerra e in economia. Questo predominio consente agli Stati Uniti, autoproclamati leader del cosiddetto “mondo libero”, di continuare a interferire pressoché indisturbati nella politica interna di stati stranieri per piegarli ai propri interessi, di “esportare democrazia” con le armi (evidente contraddizione semantica) e di dettare le regole del mercato e dell’economia mondiale, già vincolata al dollaro con gli “Accordi di Bretton Woods” del 1944. (Per approfondire vedi ad esempio la voce Ingerenze_degli_Stati_Uniti_in_politica_estera su Wikipedia) La globalizzazione a trazione USA trionfa sostituendo al vecchio colonialismo il neocolonialismo economico delle multinazionali, contestato da un forte movimento “No-global” che proprio in Italia sarà represso nel sangue (nella scuola “Diaz” la polizia massacrerà di botte e poi torturerà i manifestanti, in occasione del G8 di Genova del 2001).
La caduta dell’URSS non può non influire sulla vicina Repubblica Socialista di Jugoslavia, la cui crisi si sviluppa in un contesto internazionale dominato dall’unica superpotenza rimasta, gli Stati Uniti. All’inizio degli anni Novanta le tensioni etniche tra i popoli della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia assumono maggiore vigore, portando a una serie di referendum separatisti in alcune repubbliche federate e alle conseguenti guerre jugoslave, caratterizzate da terribili episodi di pulizia etnica. Questi eccidi forniscono una sorta di “copertura morale” per l’indebito intervento nel conflitto della NATO (alleanza difensiva per la sola protezione dei Paesi membri), che impone la pace (Accordo di Dayton, 1995) sancendo la frammentazione dell’ormai ex-Jugoslavia. Ancora più controverso il successivo intervento della Nato in Serbia, nel 1999 (senza mandato ONU), con massicci bombardamenti su Belgrado che colpiscono sia obiettivi militari che civili, causando oltre 2.000 morti tra i civili e la sconfitta della Serbia di Slobodan Milosevic (successivamente consegnato al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja e trovato misteriosamente morto in carcere). L’operazione “Allied Force”, che parte proprio dall’Italia e coinvolge anche militari italiani, lascia un’ulteriore scia di morte con l’impiego di proiettili all’uranio impoverito.
Anche in Italia la caduta dell’Unione Sovietica sembra avere un immediato contraccolpo. L’inchiesta “Mani pulite”, guidata dal pm Antonio Di Pietro, accende i riflettori su un enorme giro di tangenti, corruzione e finanziamenti irregolari ai partiti (scandalo “Tangentopoli”) che travolge il sistema dei partiti, e in particolare la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista Italiano: è la fine della Prima Repubblica. A scompaginare ulteriormente il quadro politico c’è la discesa in campo dell’imprenditore (già piduista e amico di Bettino Craxi, ex leader del PSI) Silvio Berlusconi che, a due mesi dalla “discesa in campo” con “Forza Italia” (notare la metafora calcistica), vince le elezioni. Dagli avversari politici e dalla magistratura vengono contestati a Berlusconi conflitti d’interesse, corruzione, rapporti con la mafia e perfino concorso nelle stragi mafiose che, all’inizio degli anni Novanta, sostituiscono le stragi del terrorismo politico degli anni di piombo. Anche in questo caso c’è il sospetto, come rilevato dal magistrato antimafia Giovanni Falcone (ucciso con la Strage di Capaci), che ci siano «centri occulti di potere in grado di orientare certe azioni della mafia» per interessi politici.
Le elezioni del 1994 segnano l’inizio alla “Seconda Repubblica”. Da questo momento in poi il dibattito politico e l’opinione pubblica sembrano polarizzarsi tra filoberlusconiani e antiberlusconiani, pregiudicando la qualità della politica e la capacità di affrontare crisi e mutamenti della società nel nuovo quadro di un’Unione Europea “incompleta”, scricchiolante e strutturalmente troppo legata a criteri economici, a scapito di coesione e solidarietà tra stati (nata con il Trattato di Maastricht del 1993, l’UE adotta la moneta unica nel 2002). Peraltro una serie di nuove leggi elettorali penalizza i partiti minori portando a una dialettica asfittica tra due grandi blocchi di centrosinistra e centrodestra (come auspicato proprio dal Piano della loggia massonica deviata P2). E’ così che prende piede una sfiducia generale verso la politica (che apre la porta a discutibili “governi tecnici” privi di legittimazione elettorale), cavalcata dal comico Beppe Grillo con il suo “Movimento 5 stelle” a suon di parolacce e “vaffaday”. Approdato in Parlamento, il Movimento 5 stelle apre ai compromessi tanto criticati alle altre forze politiche, alleandosi per convenienza prima con la Lega e poi con il PD. Il reale desiderio di cambiamento degli italiani e la galassia del movimentismo vengono ancora una volta delusi. E’ proprio un governo guidato dal 5stelle che si trova ad affrontare la pandemia da coronavirus del 2020. Una pandemia gestita (prima dal governo Conte poi da quello Draghi) con tratti autoritari, attraverso restrizioni che limitano le libertà fondamentali dei cittadini (v. i lockdown e il più che controverso greenpass) e con una sanità pubblica fortemente penalizzata da anni di tagli, a tutto vantaggio di privati e aziende che possono cavalcare affaristicamente l’emergenza (secondo il rodato modello del cosiddetto “capitalismo dei disastri”).
Fuori dall’Italia, le principali linee di tensione geopolitica attraversano il Medio Oriente, nell’occhio del ciclone per l’abbondanza di risorse petrolifere. Agli annosi conflitti israelo-palestinesi (che restringono sempre più il territorio palestinese in palese violazione delle risoluzioni Onu), si aggiungono la Guerra del Golfo aperta dall’Iraq di Saddam Houssein che invade il Kuwait nel 1990 e l’espansione del fondamentalismo islamico, che nel 1996 porta al potere i talebani nell’Afghanistan post-sovietico (l’Afghanistan è ritenuto il “Vietnam dell’URSS”). Tra i militanti antisovietici in Afghanistan (indirettamente finanziati dagli Stati Uniti con l’Operazione Cyclone), opera anche lo sceicco saudita Osama Bin Laden che, dopo l’esperienza afghana, fonda l’organizzazione terroristica Al-Qaida. Con gli attentati dell’11 settembre 2001, Al-Qaida colpisce gli Stati Uniti causando quasi 3.000 vittime: quattro aerei di linea vengono dirottati da 19 terroristi e fatti schiantare contro le Torri Gemelle e il Pentagono, e solo grazie a una rivolta dei passeggerei il quarto aereo non colpisce la Casa Bianca.
E’ uno dei più grandi “shock” collettivi del popolo statunitense, che dà agli Stati Uniti una rinnovata aggressività in politica estera con il pretesto della lotta al terrorismo. A ottobre del 2001 gli Stati Uniti invadono l’Afghanistan spodestando i talebani e nel 2003 invadono l’Iraq rovesciando il regime di Saddam Houssein. Un intervento, quest’ultimo, contestato da oceaniche manifestazioni pacifiste e particolarmente controverso, in quanto il motivo dell’invasione è una menzogna alla comunità internazionale: la presenza di armi di distruzione di massa nel Paese di cui in realtà non c’è traccia. Dal 2003 al 2011 la guerra miete oltre 200.000 vittime civili e provoca milioni di profughi, al netto dell’inutile strage di migliaia di soldati in ritirata assieme a rifugiati sull’“autostrada della morte” per Bassora. I Paesi “liberati”, affidati a governi democratici attaccati alla bombola d’ossigeno dell’Occidente, faticano a trovare un reale equilibrio. Come in un tragico domino, la destabilizzazione del Medio Oriente produce altri mostri. E’ così che si fa strada la brutale organizzazione terroristica Daesh, che colpisce anche l’Europa con i suoi attentati e che nel 2014 proclama la nascita dello Stato islamico di Siria e Palestina (ISIS) approfittando della guerra civile siriana iniziata nel 2011 nel contesto delle rivolte della Primavera Araba. Nel 2015 l’Isis avanza anche in Libia, paese precipitato nel caos con la destituzione del colonnello Muʿammar Gheddafi da parte dell’Occidente. Divisa tra milizie rivali e governi contesi, la Libia diviene un terreno fertile per il traffico di esseri umani legato alla pressione migratoria nell’Africa subsahariana e nel Mediterraneo.
Uno scenario, quello mediorientale e in particolare siriano, in cui interviene anche la Russia. Dopo lo scioglimento ufficiale dell’URSS e la nascita della CSI (Comunità di Stati Indipendenti), la nuova Federazione Russa subisce un drammatico passaggio dal comunismo all’economia di mercato con la privatizzazione di banche e industrie nelle mani di oligarchi plurimiliardari, la riduzione di servizi essenziali e un generale impoverimento della popolazione. Quella del nuovo presidente Boris Eltsin, “guidato” dall’economista americano Jeffrey Sachs, è una disastrosa “shock terapy”, teoria economica elaborata all’Università di Chicago e già applicata nel Cile di Pinochet. Dal 2000 a oggi, con la sequenza quasi ininterrotta di presidenze di Vladimir Putin, la Russia si risolleva economicamente, riprendendo un orientamento statalista che ridimensiona gli “oligarchi, e torna alla ribalta sullo scenario geopolitico (anche sfruttando strategicamente l’abbondanza di fonti energetiche fossili). Tuttavia, a ridosso del 2000, l’ambizione dell’Occidente di allargare la propria sfera di influenza, assieme al desiderio di Paesi storicamente legati all’URSS di sganciarsi più marcatamente dalla vecchia superpotenza, porta a un’espansione della NATO in Paesi precedentemente legati al Patto di Varsavia: Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria (1999), Slovacchia, Romania, Bulgaria e Paesi Baltici (2004). Proprio l’avanzamento della Nato a Est è uno degli elementi fondamentali del conflitto russo-ucraino, iniziato de facto nel 2014 e sfociato nell’invasione russa dell’Ucraina del 2022 (di poco successiva all’annuncio, al vertice di Bruxelles del 2021, che l’Ucraina sarebbe diventata membro dell’Alleanza).
Il ritorno della guerra sul suolo europeo segna un grande fallimento: evidenzia, ancora una volta, la crisi della diplomazia preventiva e il valore solo simbolico delle risoluzioni Onu, laddove siano osteggiate da uno dei membri del Consiglio del Sicurezza; la debolezza dell’Unione Europea, totalmente appiattita sulle posizioni dell’alleato americano; la subalternità dell’Italia, più fedele alla Nato che alla propria Costituzione sul tema dell’invio delle armi (a un Paese peraltro non ancora membro). Le sanzioni alla Russia (non prive di ripercussioni sull’economia europea) allontano il Paese dall’Europa e lo avvicinano ulteriormente ai Paesi Asiatici, con alcuni dei quali la Federazione Russa ha già promosso (dal 2002) il raggruppamento economico dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), in prima linea nel processo di de-dollarizzazione dei commerci internazionali. E’ così che, in un mondo prima bipolare e poi unipolare, prende piede l’idea di un nuovo ordine “multipolare” in grado di mettere a rischio (proprio con un commercio mondiale multi-valuta) il primato statunitense. Se la nascita di questo nuovo possibile equilibrio multipolare possa avvenire in modo pacifico, piuttosto che attraverso una nuova guerra mondiale, è uno dei grandi interrogativi dei nostri giorni (nel clima inquietante di una nuova Guerra Fredda). Con la presidenza Trump si verifica una decompressione dei rapporti degli Stati Uniti con la Russia accompagnata, tuttavia, da un inasprimento dei rapporti con la Cina. Con il gigante rosso al tavolo, la globalizzazione non sembra più vantaggiosa come prima per gli Stati Uniti, che con Trump puntano a rimettere in discussione gli accordi commerciali globali, riducendo la dipendenza dagli scambi internazionali e riaprendo le porte al vecchio protezionismo, con forti dazi sui prodotti esteri e in particolar modo cinesi.
Strano ibrido tra comunismo e capitalismo (nell’ottica di un “capitalismo di stato”), la Cina rappresenta infatti una titanica “fabbrica del mondo” con fortissimi squilibri ecologici e un sistema di “diritti affievoliti”, pioniere di un inquietante sistema pervasivo di sorveglianza digitale e di “credito sociale” che potrebbe “tentare” anche i governi degli Stati democratici. Una possibile deriva orwelliana che si aggiunge ai grandi temi e problemi dei nostri tempi, tra cui l’inquinamento, il riscaldamento globale, il biocapitalismo, le dipendenze digitali, la quarta rivoluzione industriale, l’intelligenza artificiale e la crisi dei lavoratori e delle identità sociali; lo strapotere delle multinazionali e dei colossi del web, in grado di minare ulteriormente i meccanismi democratici e di colonizzare e monetizzare persino la sfera della coscienza; il vertiginoso aumento delle disuguaglianze, che ha portato le 26 persone più ricche del mondo a possedere la ricchezza dei 3,8 miliardi di persone più povere del pianeta, in un mondo in cui il denaro e le merci hanno più libertà di circolazione delle persone. E’ in questo scenario che gli ultimi eventi geopolitici gettano un’ombra ancora più nera: l’indiscriminato massacro della popolazione palestinese a Gaza pesa come un macigno sulla coscienza dell’Occidente, complice silente, e “l’Onu muore per impotenza” (l’Internazionale) mentre addita il genocidio incassando l’ennesimo fallimento, proprio mentre in Europa si grida al riarmo.
Alessandro Paolo Lombardo