La massima latina “Semel in anno licet insanire” spiega il funzionamento dei riti carnevaleschi: ecco perché una volta all’anno è lecito (e utile) impazzire
Un disordine, un momento “contingentato” di pazzia per tutelare l’ordine di tutti i giorni. Al ritmo di una musica incessante e ipnotica (es. “Tarantella di Montemarano”), le persone liberano energie represse, “ballano fuori” i propri mali, il proprio veleno simbolico della vita quotidiana (“Qua si mangia pane e veleno”, Totò), le ansie, la depressione (“Che è, t’a mozzecat’a tarantola?”). Ogni persona è al contempo “uno, nessuno e centomila” (come si vede lei, come la vede la società, come la vedono tutti gli altri in tanti modi diversi, per cui rischia di non essere “nessuna”, come insegna Pirandello).
Per un giorno le persone dismettono le maschere della vita sociale (la parola persona deriva dal greco “prosopon” che significa “maschera”) e indossano maschere nuove per “realizzare” simbolicamente e in maniera innocua gli aspetti rimossi della propria personalità. L’idea è quella di permettere un giorno di “sottosopra” (vedi il video “La festa dei folli” del Gobbo di Notre Dame) per prevenire un “rovesciamento” irreversibile dell’ordine sociale o dell’individuo, sopraffatto dal peso della quotidianità. Esempi: per un giorno il servo frusta il padrone (come in alcune feste romane) e con questo piccolo sfogo eviterà, magari, di fare di peggio; l’oppresso, l’ultimo diventa re per un giorno; il pavido mette la maschera del guerriero e sperimenta un possibile cambiamento futuro; un uomo si traveste da donna e viceversa, sperimentando la propria identità e facendo anche un utile esercizio di “perspective taking”.
Tutto si fonda su una grande verità: “L’inconscio accetta soluzioni simboliche” (Jodorowski), ovvero si può realizzare “simbolicamente” (con il Carnevale, con l’arte, con il teatro) ciò che non si può realizzare concretamente, e così rasserenarsi, decomprimere malessere e repressione. Anche la guerra si fa simbolicamente (v. il Carnevale di Ivrea), magari a colpi di arance, che non sono proprio leggere, ma sempre meglio di una palla di una cannone. Così il “Carni-vale” o “Carni-levamen” – “sollievo alla carne”, sfogo agli impulsi, grande abbuffata di martedì “grasso” prima della Quaresima – è il momento di caos che prelude a un nuovo ordine. L’eccesso carnevalesco si abbina naturalmente alla successiva astinenza alimentare (Quaresima) che detossifica il corpo per prepararlo alla rinascita primaverile.
A. P. Lombardo, Spunti di una lezione sul Carnevale
TEMA: «Tenendo conto della riflessione fatta in classe sul senso profondo del Carnevale, sull’idea di persona e di maschera, prova a pensare alla maschera di cui avresti bisogno per un giorno. Quali aspetti rimossi della tua personalità esprimerebbe? Quali ansie potrebbe aiutarti a superare?»