«Bisognerebbe non tanto cercare radici quanto mettere radici: non è un operazione nostalgica rivolta al passato: è sempre, al contrario, parlare di futuro, di cosa si vuole essere, di quali promesse intendiamo mantenere» {Filippo La Porta}
«Bisognerebbe non tanto cercare radici quanto mettere radici. Alla globalizzazione omologante dobbiamo contrapporre non la consunta retorica delle radici, la mitologia (nazi) del sangue e suolo, l’attuale aggressivo revival nazionalistico, ma un consapevole radicamento dell’individuo dentro un’appartenenza multiforme.» {Filippo La Porta}
«Diffidate di chiunque parli – magari con un tremito di voce – di radici, origini, patria, tradizione e perfino di identità. Non che non si tratti di concetti fondamentali per la nostra esistenza ma occorre ripensarli e declinarli di nuovo. Altrimenti ci si condanna ad adorarne solo il feticcio, un’immagine sbiadita e falsa, strumentalizzata dal peggio del nostro ceto politico. […] Le radici sono il risultato di una scelta e hanno a che fare con l’immaginario culturale. […] non è un operazione nostalgica rivolta al passato: è sempre, al contrario, parlare di futuro, di cosa si vuole essere, di quali promesse intendiamo mantenere.»
«Mettere radici» Il radicamento non è un pranzo di Gala
Alle nuove elitè della finanza e dell’informazione – cosmopolite, spregiudicate, ironiche – bisogna contrapporre non il populismo vagamente razzista degli attuali tribuni della plebe mediatici o un sovranismo nazionale infarcito di retorica aggressiva, ma un “popolo” formato da tanti individui capaci di autogoverno e di riflessione critica, consapevoli e non manipolabili.
Filippo La Porta, da “Alla mia patria ovunque essa sia” – GOG Edizioni