La summer school di Liminaria per ripensare la ruralità e il sentire dell’entroterra. I periodi di crisi sono sempre seguiti da grandi cambiamenti. La pandemia di questi due anni, una ferita aperta che stenta a rimarginarsi, ci pone dinnanzi alla fragilità del sistema urbanocentrico. Quel flusso inesorabile che nel nostro paese ha portato ad abbandonare i territori interni per affollare le citta potrebbe, oggi più che mai, essere messo in discussione. Da simbolo di isolamento e abbandono, le aree interne stanno diventano territori da riconsiderare, luoghi centrali del vivere umano in cui coltivare nuovi fiori per il futuro
Il crescente interesse verso le aree interne richiede una banco di prova. Un tavolo da lavoro dove «costruire una riflessione sugli impatti dei cambiamenti climatici, ma anche delle retoriche e misure messe in atto per arginarli, nel contesto delle aree interne del Paese come possibile strumento per l’elaborazione di futuri territoriali che emergano dalle comunità stesse che le abitano». Proprio con questo intento prende l’avvio la Liminaria Summer School. Un percorso di incontri tematici per riflettere sul progressivo isolamento che colpisce le aree interne.
Il ciclo di seminari, della durata di quattro giorni, dal 28 al 31 luglio si è svolto nel cuore del problema. Nel comune di San Martino Valle Caudina, ai piedi del Partenio, già interessato da cataclismi legati all’opera dell’uomo. «L’alveo del fiume che scorre sotterraneo in una parte del centro storico è esploso – scrivono gli organizzatori – determinando una frattura nel tessuto urbano che ha impresso una serie di repentine e imprevedibili trasformazioni alla vita del paese.»
Questa prima edizione della scuola è parte di un progetto più grande orientato alla creazione di reti sostenibil. Il curatore Leandro Pisano ha presentato con Yukiko Shikata e Aya Murakami il progetto EIR (Energies In the Rural). Un progetto che mette a confronto le realtà rurali del Fortone Beneventano e della prefettura di Aomori in Giappone. Due realtà molto diverse tra loro ma che condividono il comune interesse a rivisitare i modelli ecologici finora messi in atto.
“In Giappone esistono evidenti segni di una conflittualità tra città e campagna. – ci spiega Leandro Pisano – Un tessuto metropolitano particolarmente sviluppato ed il rapido sviluppo tecnologico degli ultimi decenni hanno avuto effetto sugli spazi rurali che si sono ridotti ed inglobati”.
Così, come da noi, le aree rurali hanno subito un’impoverimento sociale, economico e culturale per i quali in questi quattro giorni, alternandosi lezioni e dialoghi con docenti di campi molto diversi, si è cercato di trovare una chiave comune. Una piccola occasione per una ricerca collettiva di alternative in grado di rompere quei paradigmi errati che sono da molto tempo radicati nelle nostre cattive abitudini. L’arte nella sua multiforme esperienza può essere il tassello mancante per trovare una chiave di lettura comune. Ci spiega Leandro Pisano a proposito:
“L’arte in generale è un dispositivo critico di particolare potenza per introdurre visioni culturali nuove e di cambiamento. Perché è di un radicale cambiamento dei paradigmi culturali di cui abbiamo bisogno in questo paese. L’antropologia, la sociologia e le altre scienze umane che studiano le aree rurali hanno dei limiti strutturali, limiti imposti dall’avere una sintassi disciplinare ben definita.
L’arte invece è in grado di trascendere questi limiti riuscendo a mettere in atto una serie di dinamiche che generano qualcosa di imprevisto. Nell’imprevisto si possono potenzialmente realizzare fenomeni di grande cambiamento. Una visione nuova rispetto a come le comunità guardano ed ascoltano il proprio territorio.
Considerando che l’innovazione non viene mai dall’esterno ma si basa sull’idea di una ricombinazione originale di elementi che già esistono sul territorio. In quest’ottica il ruolo dell’artista è fondamentale in questo processo di scambio con le comunità locali per introdurre nuove forme di rivalutazione.”
Una summer school, una factory locale in grado di interrogare il paesaggio in profondità e autoprodurre bellezza. L’arte e l’esercizio dell’imprevedibilità come pratiche per riplasmare il futuro delle aree rurali e costruire un comune sentire per le zone interne.
Vittorio Palmieri