« …era stata una giornata calma. Non un soffio di vento per tutta la giornata. Stavamo guardando la domenica sportiva alla televisione. Poi abbiamo sentito i cani lamentarsi e subito dopo un boato. Ricordo qualcuno che urlava “il terremoto” è siamo corsi tutti in strada. La polvere sollevata dalle macerie sembrava nebbia. Il freddo di quella notte fu un freddo come mai avevo sentito»
Sono bastati 90 secondi, una frazione di tempo insignificante nel grande quadrante dell’universo, per cambiare il destino di una provincia. Novanta secondi duranti un’eternità, per chi l’ha vissuto sulla propria pelle: il 23 novembre 1980 la terra ha tremato colpendo il cuore dell’Irpinia. Propagandosi ben oltre i confini della provincia per ferire a morte anche il capoluogo della Regione, Napoli, e ancora più in là fino in Basilicata. A distanza di quarant’anni dal quel minuto Fronte Terra percorre l’Alta Irpinia sulle tracce delle macerie, per raccontare la pelle delle case scuoiate e commemorare le vittime umane con il documentario “Novanta secondi”. Il video realizzato da Ettore Patrevita e Luca Vernacchio è un viaggio «in salita verso l’alta Irpinia, per una frana tutta ancora da scoprire».
“L’idea di realizzare un documentario sul terremoto dell’80 – ci spiega Patrevita – nasce dalla frana che viviamo ogni giorno, quella delle aree interne appese a Cristo. Sentirsi spaesati e al contempo al centro di una terra che respira forte ogni giorno. Anche se non siamo nati intorno al cratere ci sentiamo figli di un tremore senza tregua. Abbiamo voluto rintracciare storie sopravvissute a quell’evento. Attraversare case, luoghi e pezzi di terra che sono rimasti quasi invisibili, cercando di portare alla luce una storia e un dolore da tenere in petto, per non ritrovarci un giorno disarmati davanti a un’altra catastrofe. Nel nostro viaggio siamo stati attraversati da un silenzio che cava il sangue, che porta a fermarsi ad ogni metro per cercare di ascoltare voci che non si sono estinte, corpi radicati ad un cielo e ad un amore che continua a parlare».
Un viaggio alla ricerca delle macerie e delle memorie di quei paesi colpiti da un sisma che ancora oggi fa sentire i suoi effetti. Una spinta ondulatoria che ha distrutto case, vite e speranze dell’Alta Irpinia: chi non è morto non di rado ha perso tutto, costretto ad abbandonare case e terra natia. Quanti sono rimasti hanno dovuto assistere a un impoverimento sociale e a un’accelerazione edilizia e industriale che si è sopita dopo anni, lasciando più macerie di quante ne fossero state ricostruite.
Qualcuno accoglie i videomaker nella propria semplice dimora, conducendo i loro passi tra le vestigia di una terra inquieta, mostrando uno scenario desolante che Vernacchio descrive, con una scrittura di immagini e carne, come fatto di «ombre che senti dietro alle spalle, che ti accompagnano quando le mattonelle nelle case scricchiolano, come se ci fosse ancora del tempo da respirare; uno specchio chiuso che le famiglie hanno vestito, naufragando nelle tapparelle rimaste a metà». «Neanche una lingua – continua Vernacchio – può tenere il sangue scomparso, i sogni che coprono uno sbranamento continuo. Puoi portare altri fiori sui panni lasciati sui cavi della luce e vedere ancora calce e appalti storti, e ossa smantellate e mai ritrovate, sentirsi deboli mentre si sfiora un silenzio aperto da un mondo primitivo. E neanche una voce che scoppia in un grido, non ora ma qui».
Macerie e abbandono si scorgono ancora in paesi come Conza della Campania, Teora, Castelnuovo di Conza, Sant’Angelo dei Lombardi, Caposele. I soccorsi arrivarono prevedibilmente tardi facendo tuonare dalla rabbia l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini («Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi»). Eppure era tutto pronto: non i soccorsi, bensì era pronto il piano di “risanamento” delle zone colpite incentrato sull’affare più che sulla riparazione.
I furbi a braccetto con l’atteggiamento democristiano si avventarono sulla disgrazia come iene. La rivista Panorama nel ’92 scriveva: «in Irpinia la Guardia di Finanza scoprì fienili trasformati in piscine olimpiche mai ultimate, o in ville. Individuò finanziamenti indirizzati a imprenditori pluri-falliti e orologi con brillanti regalati con grande prodigalità ai collaudatori dello Stato». Qualche democristiano e qualche appaltatore si fece i soldi e ancora oggi si ricorda il periodo come momento di crescita economica e ricchezza. Oggi paghiamo il conto di quella “crescita”. Oggi, in territori imbruttiti dalla rozzezza di una ricostruzione che ha ipotecato il paesaggio dell’entroterra campano, dobbiamo ancora raccogliere le ultime macerie di quel disastro.
Vittorio Palmieri