Maestre di tutta Italia raccontano storie in video ai piccoli alunni per mantenere un contatto e una continuità emotiva fondamentale nella vita dei bambini. «Anche in video la parola si incarna e produce effetti – spiega la maestra napoletana Rossella Marraffino – perché, come direbbe Pennac, carnale è il sapere: le nostre orecchie e i nostri occhi lo captano, la nostra bocca lo trasmette».
Tuttavia «una scuola a distanza non è pensabile sul lungo periodo, perché la scuola è per antonomasia lo spazio della relazione, e oggi i bambini sono già sottoposti ad una massiccia sovraesposizione di immagini e messaggi virtuali che non devono sostituirsi alle esperienze reali», sostiene ancora Marraffino, che ci ha regalato questa intervista e una bellissima lettura de “I cinque malfatti” di Beatrice Alemagna (edito da Topipittori), disponibile nel video alla fine dell’articolo.
Che funzione hanno nel tuo lavoro le “storie”?
Rossella | In quanto docente di scuola dell’infanzia leggere una storia ai miei bambini rappresenta innanzitutto un atto d’amore teso a trasferire loro il desiderio per la lettura. Con le parole si nutre, si alimenta la sete di conoscenza, si arricchisce il linguaggio e si regalano emozioni per incuriosire e suscitare domande. Insieme ci immedesimiamo nei personaggi delle storie lette e diventa naturale empatizzare attraverso un’ampia gamma di emozioni. Ascoltare una storia diventa un attesissimo appuntamento per esplorare la realtà, per tradurre le nostre emozioni e per allenare la fantasia e l’immaginazione. Storie, fiabe, favole, permettono di parlare alla persona nella sua interezza attraverso i sensi, toccando il mondo affettivo e l’intelletto.
Che ruolo hanno nella crescita dei bambini e che ruolo possono avere in un momento particolare come questo?
Rossella | La comunità scientifica non ha dubbi sul fatto che la lettura ha un impatto significativo sulle parti del cervello che sono fondamentali a sviluppare le future capacità di alfabetizzazione del bambino. Ce lo dicono i neuroscienziati con diverse ricerche che confermano che i bambini che entrano presto in contatto con la lettura, anche se “solo” attraverso l’ascolto, sviluppano un vocabolario più ampio e sono in grado di mantenere meglio la concentrazione. Nei primi anni di vita, nell’età prescolare in particolare, questa attività diventa insostituibile stimolo per un corretto sviluppo di quella rete di connessioni all’interno del cervello (si veda in proposito il programma nazionale “Nati per leggere”).
Pertanto l’immaginazione che si attiva deve essere considerata come un aspetto omnicomprensivo dello sviluppo mentale e, in ambito comunicativo, come la capacità di esercitare il pensiero astratto, consentendo la comunicazione metaforica. Grazie alle metafore possiamo simulare determinate situazioni in modo indiretto, aiutando l’interlocutore a percepire ciò che potrebbe risultargli di difficile comprensione. Non c’è opposizione tra realtà e fantasia, tra logica e immaginazione, come ci ha ben spiegato Gianni Rodari: «La fantasia non è in opposizione alla realtà, è uno strumento per conoscere la realtà, è uno strumento da dominare. L’immaginazione serve per fare ipotesi e di fare ipotesi ha bisogno anche lo scienziato, ha bisogno il matematico che fa dimostrazioni per assurdo. La fantasia serve per esplorare la realtà, per esempio per esplorare il linguaggio, per esplorare tutte le sue possibilità, per vedere cosa viene fuori quando si fanno scontrare le parole».
In questo particolare momento storico a noi docenti viene a mancare la relazione diretta che si instaura solo attraverso la presenza e il contatto. L’ora di lezione è una “performance” simile a quella teatrale in cui la platea (nel mio caso due classi di bambini di 5 anni, il pubblico più sincero che si possa avere) invia in modo istantaneo i suoi feedback necessari al rimodellamento dell’azione educativa. Ogni apprendimento avviene all’interno di un ciclo emozionale che modifica, scuote e che smuove dallo stato di quiete. Fin da bambina ho sperimentato su me stessa che qualsiasi cosa apprendessi, qualsiasi idea sviluppassi attraverso la creatività, l’inventiva, la libertà di espressione, non solo mi risultava più semplice, significativa e piacevole, ma finiva per imprimersi in maniera indelebile nella mia memoria.
E allora affinché non si imprima soltanto il peso della preoccupazione e della paura che il nostro tempo storico impone, ho pensato come tante altre maestre alla narrazione come forma di comunicazione e di vicinanza ai più piccini ed alle loro famiglie. Si necessita della parola, della gestualità, della vocalità, del corpo per comunicare, per mettersi in relazione e trasferire conoscenze. La parola si incarna e produce effetti, parafrasando Daniel Pennac «Il sapere è anzitutto carnale, le nostre orecchie e i nostri occhi lo captano, la nostra bocca lo trasmette, certo ci viene dai libri ma i libri escono da noi, fa rumore un pensiero e il piacere di leggere è un retaggio del bisogno di dire». La parola incarnata traduce il desiderio di immaginare nuovi possibili scenari e rende il tempo un tempo dell’ascolto, dell’osservazione, del silenzio, dell’attesa e dell’immaginazione. Per dirla con le parole di Victor Hugo: «Aprire un bel libro, appassionarsi, immergersi, perdersi, credergli, che festa!».
Quindi la parola – e le storie – si incarnano sempre, anche diffuse attraverso un video?
Rossella | Le parole si incarnano in chi le pronuncia e in chi le ascolta, o almeno è quello che sento. Ascoltare una storia produce sempre degli effetti ma è chiaro che la presenza fisica potenzia questi effetti. Dunque l’ascolto a distanza è un surrogato necessario in un momento come quello che stiamo vivendo in cui proprio la condivisione degli spazi rappresenta un pericolo concreto per la nostra esistenza. Apparire in video è un modo per garantire, comunque, la presenza e la continuità con quel quotidiano scolastico stravolto da un’emergenza che ci ha colti tutti di sorpresa. Tuttavia una modello di scuola a distanza non è immaginabile, se non in un lasso temporale definito e per cause di forza maggiore. La scuola non è e non può essere soltanto il luogo in cui si trasferiscono i saperi, ma è lo spazio in qui si apprendono le norme dello stare insieme, si sviluppano le capacità comunicative ed è per antonomasia lo spazio della relazione, il contesto in cui si trasfigura la cultura in rapporto alla propria individualità. La scuola in presenza è luogo di costante ascolto e di dialogo, parlare di spazio comprende un’istanza corporea, sappiamo che oggi i bambini sono già sottoposti ad una massiccia sovraesposizione di immagini e messaggi virtuali, e questi non devono sostituirsi alle esperienze reali. Tuttavia il cambiamento non va contrastato ma compreso e gestito in modo da ridurre le conseguenze traumatiche di questo semi-isolamento forzato in cui i primi a perdere delle opportunità di condivisione e di crescita sono proprio i più piccini.