All’incontro con Recalcati studenti svenuti per monossido di carbonio o forse per “mancanza di stelle”: desiderio e disastro di un incontro filosofico. Contrappunti dalla lectio magistralis di Massimo Recalcati (psicanalista-filosofo e autorevole divulgatore del pensiero di Jacques Lacan in Italia) per il primo incontro del “Festival filosofico del Sannio”, organizzato dall’associazione “Stregati da Sofia” con il sostegno della Camera di Commercio e dell’Università del Sannio
Di svenimento, mal di testa e altri malori. Diversi i giovani colpiti dalla forza del desiderio, ieri pomeriggio al Cinema Teatro San Marco. L’adolescenza beneventana ha trasformato un timido e fin troppo etico discorso psicanalitico in un irresistibile esorcismo, laddove il desiderio tirato in ballo da Massimo Recalcati sembrava essere fuori dalla carne e persino – con stupore attonito dei lettori affezionati – fuori dalla carne delle parole. Può esistere un desiderio disincarnato?, questa la domanda posta dalla gioventù sannita a suon di svenimenti. E come s’incarna il desiderio?
E’ nel giusto lo studioso quando afferma che il desiderio oltrepassa i confini dell’individuo. Una visione coerente con la diffusa interpretazione etimologica che vede nel “de-sidera” una mancanza di stelle, una specie di anemia astrale. Un individuo desiderante, secondo la ferrea logica dell’etimo, non è che un corpo sidereo alla ricerca, nella carne, di un oggetto che non coincide con la dura “res mondana”, piano su cui Recalcati ribalta invece la sua forza del desiderio, schiacciandola con la stessa nonchalance con cui dalle patate si ricava il puré. «Vuoi fare il pittore? Fammi vedere la forza del tuo desiderio, fammi vedere come lo disciplini», dichiara lo psicanalista.
L’accento sulla perseveranza nel perseguire lo scopo agognato finisce per sovrapporre alla dimensione del desiderio quella della realizzazione, laddove il desiderio – lo sa bene l’amante – è respinto dal suo compimento, verso cui prova un’intrinseca, quasi magnetica, ripulsa. L’oggetto del desiderio ha dunque i tratti assoluti dell’eros, che si realizza solo nella pienezza astrale del simbolo, che agisce sulla carne e s’incarna, ma senza lordarsi delle forme grossolane. Il desiderio è musica, è un’incarnazione già al limite della sua scomparsa. E’ dis-astro (e tornano in ballo gli astri) perché il simbolo, come il desiderio, non coincide mai con sé stesso. Ma di questo disastro ossimorico del soggetto che, proprio mentre rivendica il desiderio, incarnandolo, si proietta al di fuori delle sue stesse membra, di questo slancio verso l’altrove, lo psicanalista non ha saputo tirare le fila, rifugiandosi nella sempre utile tautologia.
Il desiderio, per Recalcati, è l’incarnato pre-confezionato che indirizza il nostro essere verso l’essere duale dell’Altro. Recalcati ha appreso da Lacan che la verità riguardante il soggetto dell’inconscio travalica e trascende il soggetto e si può comprendere solo come esperienza di decentramento e non padronanza: Lacan insegna che «la verità parla solo laddove il soggetto si eclissa, laddove il pensiero e l’essere si disgiungono». L’apparizione dell’inconscio come esperienza freudiana è esperienza di verità, di differenza (nel senso del soggetto come differenza, come singolarità assoluta) e di desiderio come forza indistruttibile, come movimento incessante di apertura verso l’Altro. L’apertura all’evento desiderante confina il soggetto in un’angolazione di trascendenza e di oltrepassamento dell’autosufficienza dell’Io e della sua tendenza alla refrattarietà e impermeabilizzazione dalle influenze esterne. Ogni desiderio pone il soggetto al centro della bufera dell’unzione, della contaminazione con l’Alterità, è sostanzialmente e originariamente relazionale. Per Recalcati nell’epoca ipermoderna – o premoderna, volendosi allontanare dagli svarioni del superamento di tutto ad ogni costo -, caratterizzata da chiusura solipsistica, egosmisura e ripetizioni ipnotica dell identico, si assiste all’estinzione del desiderio nel suo rapporto con l’alterità.
Nel pensiero dello studioso il desiderio si acquatta nella carne del vivente ma solo come superficie ferormonica, di attrazione e sessualizzazione d’accatto da offrire all’Altro, una sorta di meccanismo esoscheletrico da indossare come marchingegno di attrazione e feedback, in una sorta di “cibernetica desiderante”. Il desiderio in Recalcati finisce per essere un’attrezzatura edonistica del fashion. Il desiderio, però, volendo rimarcare, come abbiamo già fatto, l’etimo – “privo delle stelle” da intendere come mancanza di qualcosa e conseguente bisogno di ottenerla – è volto a rappresentare una produzione persistente che non conosce limite e per ciò stesso non vede “realizzazione”. Una sorta di aporia attraverso cui non si arriva ma si percorre senza sosta. Essa, nella natura di desiderio/mancanza, viene a indicare la condizione più intima dello schizofrenico. Nella condizione oscillante della schizo-quotidianità, i desideri, che essa produce, non sono rivolti alla visualizzazione di realtà che possano circoscriversi nel sistema di ingranaggio della società borghese. Il desiderio non conosce fine, è de-reificato. Non ha oggetto cui riferirsi. Non è oggetto di scambio simbolico, non attiva cibernetiche. La concezione di desiderio puro non è affatto edonistica ma dissipativa, di incondizionato sperperamento di forze che agognano l’impossibile da ottenere.
In Recalcati, invece, il desiderio è normalizzato e sfregiato come in un’etica professionale, è un codice di morale, sulla base dei principi di parsimonia, di disciplina, duro lavoro e individualismo. L’aggettivo protestante si presta bene al desiderio recalcatiano per il fatto che queste qualità sono state osservate specialmente nella religione e in quella protestante nello specifico. «Ciò che noi rimproveriamo alla psicoanalisi», diceva Deleuze, «è di divenire una concezione religiosa, con la mancanza e la castrazione, una specie di teologia negativa che comporta un richiamo alla rassegnazione infinita. È contro questo che proponiamo una concezione positiva del desiderio, come desiderio che produce, non desiderio che manca». La rasserenata rassegnazione infinita è quella che sul fronte della psicoanalisi/religione si chiama passione e omelia del sacrificio. Occorre insomma liberare la psicoanalisi e gli psicoanalisti dall’idea che l’accettazione del godimento dell’Altro (dell’Altro che gode del soggetto) sia la postura cui dobbiamo imparare a rassegnarci».
Il desiderio di Recalcati è una forza vitale di prim’ordine che però s’acquieta di fronte alla mondana fortuna di avercela fatta a diventare pittore o psicanalista, o magari calciatore; schivando il rischio di essere “il peggiore”. Forse, è questo il nucleo del problema in Recalcati. Per lui il desiderio va realizzato come presunta natura dell’anima per poi acquietarsi come un gatto vicino al camino. Il desiderio andrebbe, invece, ricercato fino allo sfinimento, fino all’imbarbarimento della non stasi, in un movimento perpetuo come mancanza di stelle che brucia e accende, positivamente, e non che si realizza, negativamente o borghesemente, in una posizione statica e manifesta nel quadro delle riconoscibilità sociali.
E allora cos’è il coraggio (che poi è il tema di questa seconda edizione del “Festival filosofico del Sannio”)? «Il coraggio è dare forma vitale alla paura. Il problema non è dunque la paura ma la viltà, che è vita staccata dal proprio desiderio.» Ma il desiderio, c’insegna Recalcati, va realizzato; e allora come comportarsi di fronte a un desiderio capace di realizzare morte e disgrazie?, è la domanda acuta di uno studente inconsciamente colpito dalla ricalcata assimilazione di desiderio e realizzazione (era forse preferibile uno “studente senza inconscio”?). «Ecco, tu sei Amleto, preoccupato delle conseguenze. Sei colui che procrastina, che non agisce», la risposta, di una tipicamente borghese violenza antiborghese. Bisogna agire. E allora Hitler? «Hitler ha inseguito il godimento, non il desiderio…».
Al centro del desiderio si realizza sempre un dis-astro simbolico, cioè una contorsione meta-fisica della carne. Le parole non sono altro che l’effetto infinito ed incontenibile di questo dis-astro, di questa separazione della carne da se stessa. Il desiderio è eccedenza, per questo si fa parola. Gli studenti sono svenuti perché affetti da una mancanza di stelle, quindi di desiderio, quindi di parola, quindi di Recalcati, e solo di riverso, come pare sia stato riscontrato dai Vigili del Fuoco, per colpa del monossido di carbonio presente nella sala.
Che forse Recalcati abbia provato ad accendere le stelle del desiderio con dell’inoffensiva carbonella, come fosse il braciere di Geppetto?
Alessandro Paolo Lombardo e Luigi Furno